lunedì 9 febbraio 2015
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Gentile direttore, in relazione alla lettera del signor Giuseppe Lombardo, pubblicata mercoledì 4 febbraio su “Avvenire” precisiamo che la trascrizione presso l’anagrafe di Torino dell’atto di nascita registrato a Barcellona a cui ci si riferisce è un obbligo derivante da una sentenza della Corte d’Appello di Torino a cui l’Amministrazione non può non ottemperare.Carla Piro Mander Capo Ufficio Stampa Città di Torino Per chiarezza è decisamente opportuno aggiungere qualche particolare alla cortese lettera della collega responsabile dell’Ufficio Stampa di Torino. Ricordo, innanzi tutto, che il caso davvero singolare di cui stiamo scrivendo riguarda una bimba a cui sono state attribuite due mamme e nessun padre: due donne che hanno entrambe partecipato – come “gestante” e “donatrice” – al concepimento e alla nascita della piccola e un uomo rimosso totalmente da questa storia genitoriale e giudiziario-burocratico-amministrativa e altrettanto completamente cancellato, nelle intenzioni (magari anche le sue), dalla vita della creatura che pure ha contribuito in modo essenziale a mettere al mondo. Ricordo, inoltre, che le due donne in questione non vivono più assieme. E ricordo, infine, che il nostro lettore nella sua brevissima e indignata lettera sollecitava le dimissioni dei sindaci Marino (Roma), Pisapia (Milano) e Fassino (Torino), accomunandoli tutti in una stessa deliberata volontà di violare le norme italiane. Il signor Lombardo esprimeva cioè la libera (e comprensibile) opinione di chi ritiene che il rispetto attivo della Costituzione e delle leggi rappresenti un obbligo per ogni pubblico ufficiale, sindaci compresi. Per quanto mi riguarda, devo dire, che a differenza del nostro lettore io penso che la brutta china sia la stessa, ma tra i tre sindaci ci sia comunque una non piccola differenza: Piero Fassino non ha agito infischiandosene della legge nazionale e trascrivendo di propria iniziativa atti (nei casi di Roma e Milano il lettore si riferiva a matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero) che in Italia non sono trascrivibili, ma ha ottemperato – pur senza protestare – a una sentenza giudiziaria che – a quanto si sa – ha inteso (discutibilmente) tutelare il minore coinvolto concentrandosi sul suo interesse a ricevere sostegno morale e materiale da entrambe le persone – le due donne, la madre biologica e la madre che l’aveva partorito – con cui aveva già vissuto i primi anni di esistenza. La differenza di approccio tra i diversi Comuni è, sempre a mio giudizio, sottolineata dal fatto che il Comune guidato da Ignazio Marino ha deciso di procedere – ne abbiamo dato conto ieri – alla registrazione di una “doppia maternità” (madre più compagna della madre che ha deciso di adottare) di un bimbo che per la legge italiana è impossibile. E lo ha fatto sulla base di un’asserita, ma altrettanto impossibile, analogia tra quella richiesta di registrazione e lo specifico caso di Torino. Una triste dimostrazione, se ancora fosse necessario, di come a Roma purtroppo regole e princìpi non siano violate soltanto dai signori della finalmente scoperchiata cupola politica e affaristica di “mafia capitale”, ma anche da amministratori pubblici che si credono loro stessi e arbitrariamente “legge”. Chiudo con una riflessione. La vita è spesso complicata, ma stiamo facendo anche l’inimmaginabile per complicarla rischiosamente e di più. Continuiamo a riempirla delle logiche e dei desideri, anche umanamente comprensibili, degli individui adulti e potenti (grazie, in certi casi, solo ai ritrovati della tecnoscienza o al consenso costruito attraverso campagne mediatiche) senza considerare degni di considerazione i diritti dei piccoli e dei senza voce. Si pensa di poter sovvertire l’ordine naturale delle cose e persino le radici dell’umano. So che tanto, quasi tutto, si può ipotizzare e persino fare. E so che il bene e il male sono spesso realizzabili per le stesse vie e con gli stessi “strumenti” (basti pensare all’energia nucleare). Ma so anche che il disordine incurante, presto o tardi, si paga. Si paga sempre.Marco Tarquinio
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