sabato 24 dicembre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
La nascita di Gesù Cristo chiama ogni uomo a un nuovo inizio, l’umanità a crescere e rinnovarsi. Nelle epoche di maggiore sofferenza, incertezza, il Natale si presenta per illuminare le zone opache della coscienza, per tenere viva la speranza che permea l’intera opera del creato. Non a caso esso ha impegnato nella storia le più alte facoltà dell’uomo, l’arte, la musica, il canto, la capacità di pensare e progettare.L’arte ha dato immagine e fascino creativo all’evento, i suoi capolavori consegnati a generazioni di cristiani hanno esaltato la bellezza, la tenerezza del rapporto tra Gesù, Maria, Giuseppe, la forza della vita nuova che ha fatto irruzione sulla terra per cambiare il corso della storia, ispirandola ai principi diffusi con il Vangelo. Quando Francesco d’Assisi 'inventa' il presepio a Greccio, nel 1223, quasi riassume la sensibilità artistica del cristianesimo, ne consegna la raffigurazione a uomini e donne, alle famiglie, ai bambini di tutto il mondo con una genialità spirituale che ha subito valenza universale. La Natività ispira l’arte cristiana dagli inizi, ma con Francesco essa diviene un luogo privilegiato dei grandi maestri, da Giotto a Beato Angelico a Filippino Lippi, agli altri successivi. La musica e il canto, da parte loro, nelle più raffinate elaborazioni e a livello popolare, danno voce alla forza dell’annuncio, evocano l’armonia dell’incarnazione, la pienezza di una vita spirituale possibile a chiunque. Infine, la liturgia e la preghiera pronunciano le parole più alte e quelle più semplici con cui anche i piccoli professano la propria fede, manifestano stupore per la vicinanza di Dio, che con la Natività diviene presenza familiare. La crisi che stiamo vivendo da alcuni anni ha raggiunto punte di disarmante acutezza, e vera sofferenza, è sempre più il frutto d’un intrecciarsi di rapporti tra i popoli che non conosce confini. Benedetto XVI ha ricordato che quanto era iscritto nella Natività oggi è verità sperimentabile: ogni persona, popolo, nazione, sono parte di una storia universale dalla quale non ci si può estraniare, ciascuno dipende dagli altri sempre più strettamente. Se però ciò che facciamo incide anche sui nostri simili più lontani, e viceversa, vuol dire che la parola di Dio, rivelata a Betlemme, assume un significato più alto. Perché l’egoismo non colpisce solo nell’interiorità, ha un raggio d’azione ampio, crea ingiustizia nelle comunità, mette a rischio il futuro delle nuove generazioni, dei più bisognosi, delle nazioni. Guardando attorno, oggi vediamo quante categorie di persone sentono necessità della speranza. Hanno bisogno di sperare i popoli entrati e usciti nel corso di quest’anno da bufere rivoluzionarie, o vere guerre, che hanno investito il Mediterraneo; confidano che tante sofferenze non si dimostrino inutili, aprano le porte ai diritti umani, a cominciare dalla libertà religiosa, invece che a nuove oppressioni. Nutre speranza chi subisce violenza e persecuzioni a causa della fede, quasi sempre cristiana, in tante parti del mondo. Vogliono, e devono, sperare i popoli dell’Europa, della nostra Italia, che vedono crollare certezze, garanzie, sicurezza, e sono presi da una diffusa ansia, dei genitori per i figli, dei giovani per il proprio avvenire. La speranza è tutt’uno con la Natività perché questa è per definizione apertura all’esistenza, fiducia nel futuro, ma San Paolo ricorda che per realizzarsi essa chiede di fare delle scelte, di operare per il bene. Più di ieri, si deve scegliere se stare dalla parte della vita, ovunque nasca e comunque si manifesti, se onorare il comandamento dell’amore che costituisce l’architrave del cristianesimo. La luce che viene dalla Natività si spegne o si affievolisce ogni volta che giriamo le spalle alla vita nascente o sofferente, si offusca quando costruiamo la civitas sull’ingiustizia, dimenticando il bene comune. Oggi sappiamo che le scelte d’egoismo ricadono su di noi perché erodono le basi di una convivenza che si è fatta planetaria. Il terzo millennio ha già confermato il compimento della promessa divina, per la quale gli uomini possono vivere come una comunità in cui tutti sono veramente eguali, perché accomunati dalla somiglianza al Creatore, ma se appassisce questa consapevolezza si prepara il terreno all’isolamento delle persone, al declino della società. La Natività, questo Figlio che ci è dato, si oppone alla disgregazione e alla dispersione, rappresenta il trionfo della vita, l’apertura alla luce della solidarietà, alla responsabilità verso gli altri.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: