mercoledì 14 ottobre 2020

Si dice: «non aver paura della tua fragilità», ma anche se la debolezza è connaturata alla vita umana, l’essere fragili annichilisce. Nel frattempo si cerca di vivere le sfide della vita, si va 'avanti' ma dentro c’è un’incrinatura che come un fiume carsico riaffiora ed è questa debolezza interiore che come un’afasia ti toglie l’espressione e ti impedisce di vedere la bellezza. Non stai più in periferia, ma sei tu stesso periferia della tua vita e di quelle degli altri quando ti ripieghi sull’io e dimentichi di essere noi. Poi c’è il Kenya, gli amici che mi chiamano, tutte situazioni che sarebbe semplice risolvere con in tasca un po’ di denaro, così ogni tanto busso qua e là, ma non è facile, soprattutto sono restio a giocare il ruolo di chi condivide il denaro degli altri e al tempo stesso non posso distribuire risorse che non ho. Il governo del Kenya sta rimettendo in discussione i certificati di proprietà di molte contee sostenendo che sono stati assegnati da uffici dove vi erano amministratori corrotti, ma a farne le spese sono i più poveri, quelli che sono riusciti a comprare un piccolo terreno con grandi sacrifici e rischiano di vederselo sottrarre.

Poi c’è l’abisso delle famiglie che come un vortice sta devastando la periferia in cui vivo. Le fratture dei coniugi sono crepe telluriche che rompono tutto ciò che sta loro intorno a partire dai figli. Mentre rimetto in fila i pensieri mi arriva la 'lettera di licenziamento', non direttamente perché era qualcosa che sapevo già nel momento in cui ho iniziato a lavorare: in realtà non esiste neanche più il licenziamento, quando ti assumono firmi già che te ne andrai, è nel contratto, ma lo accetti perché ti adagi sul principio thatcheriano TINA (There is no alternative), non hai altre possibilità. Poi mi fermo e penso alle tante situazioni difficili che vedo e non me la sento di raccontare: il mondo che mi si schianta addosso. Fatti che vorrei non sapere, amici che vorrei non veder soffrire, latitudini che non vorrei attraversare. Il dolore ti fa regredire, è come un raggio che riduce la tua dimensione, sei sempre più piccolo, le tue frasi diventano sillabe che gorgheggi finché non ammutolisci.

Abbiamo bisogno di fiducia, di qualcosa che uno non si può dare da sé, puoi solo riceverla e donarla: è forse qualcosa che puoi dare anche se non ce l’hai, essere, esserci. Come scrive Franco Arminio «abitiamo un mondo fatto a zolle poggiate sull’acqua. Ogni giornata, ogni ora, è una zolla ed è difficile tenerle assieme. Si allontanano e noi teniamo un piede su una e sull’altra e poi cadiamo in acqua». Tendiamo la mano qualcuno ci rialza, qualche volta tiriamo su qualcun’altro, altre non c’è la facciamo, ma come dice Arianna (10 anni): «È la vita» (bellezza).

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