Caso Bertocco, spesa sanitaria, famiglia
domenica 15 ottobre 2017

Che nella vicenda del suicidio assistito ottenuto in Svizzera da Loris Bertocco si intreccino inestricabilmente emozioni profonde, per la tragicità delle sue sofferenze, e un’altrettanto profonda indignazione per le plateali carenze del nostro sistema assistenziale che questo caso ha portato alla luce, va assolutamente da sé, come peraltro ben emerge dai diversi editoriali e commenti che "Avvenire" ha dedicato a questo evento. Ma sia le emozioni che le indignazioni sono dinamiche psicologiche e fluttuanti, che vanno integrate con alcune fredde considerazioni razionali, in se stesse non particolarmente originali, ma che oggi vengono sistematicamente rimosse.

La prima e fondamentale osservazione è che il pomposo riconoscimento del "diritto alla salute" che emerge nella nostra Costituzione , così come in pressoché tutte le costituzioni moderne, si sta lentamente e inesorabilmente svuotando, non per la malizia o l’incapacità dei nostro governanti, ma per la forza stessa delle cose. Tutti sanno che il progresso della biomedicina, la trasformazione delle patologie acute in patologie croniche, il dilatarsi dei confini della quarta età comportano l’aumento progressivo e incontrollabile di spese assolutamente insostenibili, anche da parte degli Stati più affluenti. È ben noto che le spese per l’assistenza ai disabili (categoria in cui dobbiamo ricomprendere gli anziani non autosufficienti), quelle per garantire a tutti il ricorso a tecniche diagnostiche tanto più raffinate quanto sempre più costose, gli oneri collegati alle terapie per le malattie rare (per citare solo alcuni esempi) sono di fatto già fuori controllo e vengono subdolamente contenute con veri e propri artifici contabili (il più banale e frequente dei quali è quello di dilazionare quasi all’infinto le prestazioni di cui i malati avrebbero un "assoluto" diritto). E, per finire, è evidente che nessuno ha in tasca la soluzione di questioni così gigantesche.

Però, pur se non abbiamo soluzioni preconfezionate, possiamo individuare i piani sui quali si può attivare una politica sociale adeguata. Sono essenzialmente due. Il primo è quello dell’aumento delle risorse per la sanità pubblica. Bisogna che i governanti pongano la pubblica opinione davanti alle sue responsabilità. Poiché la "lotteria naturale" è tale che la vecchiaia estrema, la malattia, l’invalidità possono colpire tutti, è necessario che tutti partecipino anche finanziariamente a questa lotteria e paghino i biglietti, costino quello che costino. Bisogna sacrificare parte del proprio benessere attuale per garantirsi un minimo benessere futuro. È un discorso duro, ma ineludibile e richiede nuove dinamiche di pedagogia civile, che prendano le mosse già dalle scuole primarie.

Il secondo piano di azione è ancora più duro. Bisogna convincere la pubblica opinione che l’assistenza pubblica, per quanto possa, almeno in qualche ambito, rivelarsi adeguata, avrà sempre un carattere freddo e non garantirà mai del tutto la tutela della dignità degli anziani, dei disabili, dei malati gravi. Solo un contesto familiare pienamente responsabilizzato e consapevole dei suoi doveri, può garantire ai soggetti più deboli quel sostegno non solo materiale, ma psicologico e affettivo di cui essi hanno bisogno. Sposarsi, fare figli, costruire una famiglia non sono solo pratiche sociali, sono le uniche forme di "autotutela personale" cui possiamo fare ricorso. La cecità dei nostri contemporanei nei confronti del futuro anagrafico e sanitario che li attende è, sotto questo profilo, impressionante.

Nessun medico, nessun infermiere, nessuna istituzione ospedaliera potrà mai sostituire la presenza, accanto al letto del malato, di una persona cara, né potranno mai fornire quelle forme di solidarietà delle quali i soggetti più deboli sentono il massimo bisogno. Bisogna che la famiglia torni al centro delle nostre preoccupazioni, in tutte le sue dimensioni, da quella economica e sociale a quella religiosa e spirituale.

Dobbiamo avere il coraggio di tornare a proclamare ad alta voce, senza timidezza, alle nuove generazioni che orientare la propria vita in una prospettiva familiare non va considerata alla stregua di una scelta 'privata', ma che possiede un rilievo antropologico, cioè pubblico, dotato di un valore intrinseco. Per l’individualismo oggi dominante questo discorso è regressivo. Per chi invece mantenga la capacità di guardare non solo al futuro prossimo, ma a quello che già si sta concretizzando sotto i nostri occhi, questo è l’unico discorso veramente 'progressista' che oggi sia non solo possibile, ma doveroso fare. Con estrema concretezza, senza retorica.

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