sabato 4 febbraio 2012
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Quando scattò l’obbligo delle cinture per i passeggeri a bordo delle auto, e a Napoli apparvero le magliette con il disegno che le ritraeva, una risata quasi seppellì il raggiro; perché sì, ancora una volta le regole venivano infrante, ma vuoi mettere lo stile, la fantasia e quello spirito «tutto napoletano» non solo di farla franca, ma di prendersi beffe della legge... A Napoli l’unica merce che trova sempre mercato è il grottesco, con variazioni che vanno quasi indifferentemente dal tragico al comico. E del resto, la vita della città non è stata costantemente – e spesso ingenerosamente – rappresentata come un un palcoscenico a cielo aperto? A metterla su questo piano, altro ricco, e per certi versi imperdibile, materiale viene dal blitz contro i falsi invalidi nel quartiere di Poggioreale: trantadue arresti – ultima "tranche" di un blocco di oltre duecento – ma al di là dei numeri, un’operazione che richiama quello spirito di cui si diceva. Dei trentadue arresti – finti ciechi, falsi cardiopatici, pensionati con documentazione "alla bisogna", e via taroccando – undici abitavano in uno stesso palazzo, una specie di ambulatorio fai-da-te che andava avanti indisturbato da anni.Di fronte a una signora che, pur affetta da gravissime turbe psichiche, riusciva tuttavia a impastare pizze e far da cuoca in un ristorante di famiglia, o a chi la certificata, «totale infermità motoria» non era d’ostacolo per gestire un banco (abusivo) al mercato, rischia ancora una volta di scattare il meccanismo di una certa napoletanità che si fa propedeutica alla legge. Come se Napoli fosse di per sé un’attenuante naturale e scontata; e tanto più per quel genere di reati che chiamano in causa due elementi che, da queste parti, hanno continuato a fronteggiarsi da sempre: la (cosiddetta) furbizia e un’entità, lo Stato che, certo, non lascia trasparire subito il senso istituzionale del bene comune. Quando a Napoli va in scena l’arte di arrangiarsi – è questo l’altro nome della furbizia –, si dà per scontato che a rimetterci debba essere la legge, e di riflesso, anche lo Stato. E se la percezione comune è che non si tratti poi di grandi reati, è perché, bene o male, finisce con lo scattare il meccanismo di una sorta di "scala mobile" della legalità, un valore da sempre considerato fluttuante sul mercato locale. Viene fuori da qui la cifra deformata di un territorio per il quale si accetta una giustizia tarata su parametri diversi, che quasi non prende in considerazione il reato ai suoi primi livelli, e lascia così crescere – anche sotto il profilo culturale – l’area di un’impunità nella quale la camorra comincia a farla da padrone.Troppe volte a Napoli è accaduto, suo malgrado, di vedersi derubricare un certo genere di reati in puro e semplice «colore» locale: l’«ammirazione» per le doti di inventiva e fantasia ha finito per stemperare di molto ogni eventuale condanna. La città ne ha preso atto e ha continuato a coltivare a suo modo quest’area di illegalità di superficie. Se quando si parla dei «grandi mali» di Napoli si partisse proprio da questo tipo di superficie, forse cambierebbe finalmente qualcosa. Certo, nell’immaginario collettivo Napoli potrà diventare una città più grigia e più opaca, e non verranno subito in mente i tanti (troppi) luoghi comuni – insieme alla pizza, alla chitarra e al mandolino – che ne hanno segnato il cammino. Ma vuoi mettere, la novità, anzi l’ebbrezza di una Napoli capace di diventare una città normale e soprattutto, di essere percepita come tale? In fondo è questa la grande sfida che, da sempre, sta di fronte a una metropoli alla quale non mancano le risorse per imporre la propria unicità e la propria grandezza su altri versanti.Il Giubileo della Chiesa locale, appena concluso, ha passato in rassegna, uno dopo l’altro, e in modo attento e profondo, i capitoli davvero importanti attraverso i quali Napoli ha costruito la sua singolarissima storia. È stato, come ogni grande evento di fede, l’occasione per guardare in faccia senza reticenze, ma con motivata speranza nel futuro una realtà alla quale, più che la tavolozza del "colore", occorre un rinnovato richiamo alla responsabilità. E al valore – questo sì non soggetto a variabili di mercato – del bene comune. Contro il quale, anche a Napoli, non possono esistere furbizie, ma solo reati.
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