martedì 29 settembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
La prima domanda suscitata dall’aspirazione indipendentista che sta dietro le elezioni "plebiscitarie" tenutesi domenica in Catalogna è piuttosto brutale: perché? Che senso ha la secessione da uno Stato democratico-pluralista come la Spagna, all’interno dell’Unione Europea (di cui la Catalogna vorrebbe continuare a essere parte), in cui la statualità ha perso quelle caratteristiche di esclusività disegnate dalla teoria costituzionale dell’Ottocento?  A questa domanda radicale, gli indipendentisti catalani non hanno sinora dato alcuna risposta convincente, visto che essi escludono sia la risposta economica ('saremmo più ricchi'), sia quella etnicoidentitaria ('siamo diversi'). Le forze indipendentiste – Convergencia, di orientamento moderato, guidata dal presidente catalano Artur Mas, Esquerra Republicana di estrema sinistra e i neocomunisti del Cup – rispondono con una pura affermazione di volontà: volui quia volui. Ma il travagliato cammino della Catalogna verso il distacco da Madrid negli ultimi tre anni pone anche un’altra domanda: cosa dice il diritto costituzionale sulla secessione da uno Stato democraticopluralista? La risposta è piuttosto semplice: la vigente Costituzione spagnola non solo non prevede alcun procedimento attraverso cui una delle 17 Comunità autonome possa secedere dal Regno, ma afferma che esiste un unico popolo, quello spagnolo, e nessuna parte di esso può unilateralmente separarsi dal tutto. Perciò – lo ha ribadito in più occasioni il Tribunale costituzionale – non è ammissibile un referendum secessionista in cui un ' 'popolo catalano' (inesistente, dal punto di vista giuridico) possa decidere di separarsi dal resto della nazione. Del resto proprio questo dato giuridico è alla base delle singolari elezioni svoltesi ieri: si trattava infatti di elezioni anticipate, convocate da Mas non per ottenere una maggioranza parlamentare, ma in funzione 'plebiscitaria': si trattava, cioè di one-issue elections, in cui agli elettori era chiesto solo di scegliere fra partiti favorevoli e contrari alla secessione.  La stessa risposta si può trovare nel diritto costituzionale degli Stati federali e regionali degli ultimi due secoli: fra essi, solo alcuni Stati comunisti (Urss e Jugoslavia) prevedevano come evento possibile la secessione, nella consapevolezza, peraltro, che essa sarebbe stata resa impossibile dal 'ruolo guida' riconosciuto al partito comunista, come partito unico. Ma le Costituzioni degli Stati liberali e democratici non hanno mai previsto questa possibilità: nel caso degli Stati Uniti il tema fu risolto con la spada durante la guerra di secessione del 1861-65 e, sulla base di essa, dalla sentenza della Corte suprema Texas v. White (1870): in senso chiaramente negativo.  Negli ultimi decenni non sono mancati tentativi di affrontare il problema in un’ottica di radicalismo democratico, secondo la quale gli Stati non sono corpi politici o entità metafisiche, ma il prodotto del consenso dei loro cittadini.  Così nel 1981 la Corte suprema del Canada, pronunciandosi a proposito del Québec, dopo aver escluso l’esistenza di un diritto costituzionale di secedere unilateralmente, ha affermato che le convenzioni che reggono una democrazia pluralista suggeriscono di negoziare una secessione, qualora essa sia chiesta da «una maggioranza chiara». Applicando questo precedente al caso spagnolo, ci si potrebbe chiedere che cosa voglia dire «una maggioranza chiara».  Sembra che al riguardo non basti una maggioranza semplice del Parlamento regionale, neanche se prodotta da elezioni 'plebiscitarie' come quelle di ieri. La maggioranza dovrebbe quantomeno essere tale nel corpo elettorale: e ieri i partiti indipendentisti hanno ottenuto solo il 47% dei voti, che si è trasformato in 51% dei seggi grazie all’effetto maggioritario che ogni sistema elettorale produce a vantaggio delle liste più votate. Dunque anche questo test assai elementare non è stato superato dagli indipendentisti catalani. Ma forse «una maggioranza chiara» dovrebbe essere qualcosa di più. È ormai acquisito nel diritto costituzionale contemporaneo che le decisioni costituzionali sono legittime solo quando sorrette da maggioranze speciali. Nel caso di un eventuale referendum catalano forse la soglia ragionevole potrebbe essere collocata al 51% non dei votanti, ma del corpo elettorale. Dopotutto si tratta di una decisione storica e chi rivendica il «derecho a decidir» sull’indipendenza (un diritto peraltro assai dubbio) deve provare di avere dalla sua parte qualcosa di più di una maggioranza in una elezione o in un referendum ordinario.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: