«Sea Watch 3» è un caso e merita un tribunale
sabato 29 giugno 2019

Il caso Sea Watch merita davvero un processo, un tribunale. Non tanto per dirimere una contesa fra la Capitana (della nave umanitaria) e il Capitano (della Lega), ma per ristabilire trasparenza, ordine e diritto in una vicenda che coinvolge la dignità di tutti e che viene giocata sulla pelle di poveri esseri umani. Vi è la legge italiana, vi sono i trattati e le convenzioni internazionali, vi sono i diritti umani universali stabiliti dall’ Onu e tanta giurisprudenza relativa.

Diritti e doveri che devono essere tenuti insieme e non strappati a seconda delle convenienze politiche e per mero consenso. Quando l’azione politica finisce prigioniera della ricerca del consenso senza preoccuparsi di promuovere giustizia e solidarietà perde la funzione per cui esiste, perde il senso, come ci ha ricordato l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia. Si alimentano inoltre sospetti circa il ruolo e finalità delle ong, con accuse di favoreggiamento del traffico di esseri umani e di illeciti finanziamenti pur in assenza fino ad oggi di condanne giudiziarie.

Bene, si portino le prove in un’aula di giustizia o altrimenti si tratta di insinuazioni calunniose. Sarà un bene per tutti. In quell’aula a tavolo dei coinvolti ci saremmo tutti: la nave con i suoi responsabili, il nostro Paese con le sue leggi, l’Europa con l’ordinamento sottoscritto da tutti Paesi nella loro piana sovranità e anche noi cittadini per capire e assumere la consapevolezza dei nostri diritti e doveri inevitabilmente legati alle libertà e diritti di tutti gli esseri umani. Le libertà sono tutte solidali: «non se ne offende una senza offenderle tutte» diceva Filippo Turati.

Nella storia delle nazioni vi sono momenti i cui i Tribunali sono necessari per ristabilire il nesso tra le leggi e i loro criteri ispiratori, tra le regole, i vari diritti-doveri afferenti, i valori civili e morali che le devono ispirare. Un simile processo ristabilirebbe il diritto, che altro non è che uno degli strumenti al servizio la persona umana. Non c è distacco tra l’uno e l’altro, ma identità; come ben argomenta Antonio Rosmini, non la persona ha diritto, ma la persona è diritto. Se è vero che siamo nell’epoca storica che dichiara come diritto la dignità di ogni creatura, non dobbiamo fare passi indietro ma avanzare ancora.

L’Europa culla del diritto con una ricchezza senza precedenti nella storia non può essere prigioniera della paura. La questione interpella l’etica prima ancora della legge e della politica. E alla radice vi è la rivelazione del cristianesimo circa la uguale natura umana degli uomini chiamati alla irrevocabile fratellanza. Un principio esistenziale essenziale che non possiamo lasciare alla corruzione del mercato politico e del potere. Il diritto di tutti all’esistenza di tutti e il diritto di tutti alla giusta e possibile felicità su questa Terra non possono essere liquidati coi pochi caratteri di un tweet. La vita è più grande e questo caso merita un tribunale per migliorare la storia e salvarci tutti.

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