giovedì 11 dicembre 2008
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L’immagine del cimitero militare di Notre Dame de Lorette, nel Nord della Francia, con cinquecento lapidi di caduti di guerra musulmani coperte di insulti, ha fatto il giro del mondo. Sdegno e vergogna per quelle tombe sfregiate hanno percorso la Francia, così come quando vandalizzati erano stati i cimiteri ebraici. Ma un’indagine del Parlamento francese rivela una prospettiva diversa, anche se non meno grave, sul fenomeno. Gli episodi di profanazione crescono, in Francia, del 20 per cento l’anno; nel 2007 sono stati 144, e se il trend prosegue saranno, nel 2008, quasi 170. Ma il dato inaspettato è che dei 144 episodi dell’anno scorso, solo nove riguardavano tombe musulmane e cinque ebraiche; per il resto, a essere presi di mira sono stati i cimiteri cristiani, i cimiteri di paese con i loro sconosciuti defunti francesi. Solo una piccola parte delle profanazioni sono state trovate tracce sataniste. E dunque l’accanimento, secondo l’indagine parlamentare, è semplicemente vandalico. Quasi una notte ogni due un piccolo cimitero di provincia viene violato. Da chi? Tra i colpevoli individuati, otto su dieci erano minorenni, e spesso giovanissimi. Nessuna motivazione ideologica: lo avevano fatto, semplicemente, per gioco. Quando in un Paese di antica civiltà gli adolescenti trovano "normale" andare a profanare, nelle sere di noia, i cimiteri, viene da chiedersi se qualcosa non si è interrotto nella trasmissione generazionale delle coordinate del vivere. Qualcosa non è passato dai padri ai figli. Che idea avranno della morte i ragazzi che vanno a bere birra fra le tombe, che vandalizzano le lapidi di morti sconosciuti? Forse non hanno mai visto davvero, da vicino, con i loro occhi, la morte di una persona cara – in un mondo che nasconde come un tabù quegli ultimi giorni, che allontana da casa i vecchi moribondi. E invece, hanno visto migliaia di morti virtuali su uno schermo; così che credono di sapere cos’è la morte, e niente invece sanno di quella vera – del terreo pallore su una faccia amata, che toglie ogni parola. La morte virtuale, la morte dei videogiochi, è così finta e astratta che non meraviglia che ci si possa scherzare, a sedici anni, se si è cresciuti nel vuoto. E in fondo anche l’indifferenza che permette di dare un calcio a una foto su una lapide è figlia di quella mancanza di immaginazione che affligge molti, nella generazione svezzata a tv e Internet: hanno davanti, su quelle tombe, un volto che rimanda a un uomo, alla sua storia, e non vedono, non sanno pensare che è stato un figlio, un ragazzo, uno come loro. Davanti a un sepolcro, non riconoscono l’uomo. E tuttavia questo triste gioco rivela anche, in fondo, una domanda censurata. Benché profanatori, i ragazzi dei cimiteri rivelano, nel loro scavalcare quei cancelli, come una stordita, confusa curiosità. La morte vera non l’hanno vista, né gliene hanno mai parlato apertamente. La morte è l’ultimo tabù, ciò di cui non si deve parlare, e se accade come si è lesti, anche tra amici, a cambiare argomento. Ma a sedici anni le domande galleggiano nel cuore, magari non coscientemente espresse. Com’è, cos’è la morte? E se la si andasse a spiare da vicino? Forse è questo ciò che spinge bande di ragazzini a violare serrati cancelli. Ma oltre quei muri trovano solo pietre e silenzio. L’apparenza esteriore della morte, se non ti è stata annunciata un’altra vita, né alcun senso, può atterrire. Le tombe mute, ai figli lasciati soli dai padri, sembrano la promessa del nulla. Uno sfregio, una cornice infranta tra i cocci di bottiglia sono le tracce, all’alba, delle incursioni di profanatori adolescenti. Giovani barbari ignari, cui nessuno ha annunciato una credibile speranza.
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