lunedì 28 luglio 2014
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Tutto si rinnova in questo Paese, tranne il “Governo del pallone”, l’obsoleta – da sempre – Federcalcio. L’11 agosto a dire il vero la Figc avrà un nuovo presidente e, a meno di sorprese in “zona Albertini” (Demetrio Albertini è l’altro candidato), il premier del calcio nazionale sarà Carlo Tavecchio, già n.1 della Lega Dilettanti. Tavecchio, altro che rinnovamento. Ma giustamente il candidato principe ci ricorda che non è dai suoi 71 anni che si giudica un rappresentante della categoria calcistica. Però forse, dalle idee e dal linguaggio usato a Fiumicino nella presentazione del suo programma “politico”, qualche giudizio in merito ci permetterà di avanzarlo.In un momento in cui la lotta al razzismo negli stadi ha portato alla chiusura delle Curve e fatto scendere in campo dei testimonial pronti a sposare la giusta causa, caro Tavecchio come si fa ad uscirsene con quel «Opti Pobà è venuto qui che prima mangiava banane e adesso gioca titolare»? Il tentativo di correggere il tiro poi, è stato un altro penoso autogol sul quale soprassediamo, perché quando si scende su certi campi minati come quello della discriminazione razziale, bisogna possedere la giusta distanza, sensibilità e soprattutto cultura. Altrimenti, come si fa a sbandierare costantemente la necessità di una “nuova cultura sportiva”, quando si continua a vedere nello straniero, nel ragazzo che spesso arriva dalle stesse terre di povertà e di guerra dei migliaia di irregolari che sbarcano ogni giorno sulle nostre coste, una minaccia? L’antagonista di Tavecchio, il più giovane e più aperto – è un dato di fatto – Demetrio Albertini usa sempre toni pacati e civili (forse è un difetto?), ha parlato di allargamento delle quote per i calciatori extracomunitari e questo, oltre alle rose ristrette a 25 giocatori, deve aver fatto paura a tutti i presidenti di Serie A e B che fino al giorno prima chiedevano a gran voce il rinnovamento. Quindi lo svecchiamento del sistema. Il sospetto è che il nostro calcio voglia continuare ad essere la tana dei Gattopardi, e il passaparola dei padroni del vapore prima delle votazioni pare preveda l’accettazione tacita dell’imperativo: «Che tutto cambi perché nulla cambi». Ognuno scelga secondo coscienza il suo degno rappresentante, ma il timore fondato è che il Palazzo del calcio sia alla vigilia di un’altra occasione persa. Una volta almeno si sbagliava da professionisti, ora siamo davvero in mano ai dilettanti.
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