domenica 12 settembre 2010
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Conosco Stefania Belmondo, lavora a Cuneo presso il Corpo forestale dello Stato. È stata una leggenda dello sport italiano, ha vinto ori su ori nello sci di fondo, specialità che sembrava esclusiva delle atlete scandinave o nordiche. È stata un mito, vive tranquillamente e non mi risulta abbia acquistato località turistiche invernali con i proventi della sua luminosa carriera. Non so che cosa facciano attualmente i fratelli Abbagnale, ma so che si allenavano a remare grazie allo zio, e battevano tutti i superallenati vogatori dei colleges inglesi. Non so neanche se Tania Cagnotto, dopo l’oro agli europei e altri prossimi, probabilissimi, successi, diventerà proprietaria di una catena di hotel con piscina in California e Florida. Non lo vedo probabile. Invece un buon calciatore di serie A, se non affetto dalla sindrome di Maradona (e molti ne sono affetti, prevalentemente ma tutt’altro che esclusivamente brasiliani), se cioè non cade sin dall’inizio in un processo autodistruttivo, se non si lascia ingannare da cattivi consiglieri o non diviene vittima di una disgrazia, può assicurarsi una vita non agiata, ma ricca, per sempre. Come la maggior parte dei maschi italiani amo il calcio, ne sono appassionato e tifoso, quindi non demonizzo a priori i guadagni dei giocatori, come può fare chi, legittimamente, anche se per noi incomprensibilmente, non capisce il senso di questo sport. E so anche che il calciatore ha una carriera comunque breve che lo condiziona, a livello di studi (quasi mai puoi farli davvero seriamente) maturazione extracalcistica, sfera sentimentale. Un fuoriclasse degli anni Ottanta, mio amico, mi racconta spesso che la giovinezza dei calciatori non favorisce la maturazione sentimentale, propiziando anzi clamorosi errori di valutazione nelle scelte di vita.Detto tutto questo, il fatto che i calciatori scendano in sciopero come operai metalmeccanici o minatori, mi pare francamente stonato. D’accordo, la categoria dei calciatori comprende anche sportivi che in serie C guadagnano stipendi bassi, non certo quelli stellari dei campioni veri o presunti della serie A (quelli che, parlando di italiani, hanno fatto la bella figura che sappiamo ai recenti mondiali). Stipendi bassi ma superiori a quelli di un insegnante o di un medico ospedaliero appena assunto.L’idea che si astengano dal lavoro, scegliendo cioè lo sciopero, l’arma storicamente più drastica e civile di lotta per la difesa del lavoro e della dignità del lavoratore, mi dispiace, suona un po’ grottesca. Siamo troppo abituati a vedere i campioni o presunti tali nella loro vita al di sopra della media immaginabile per un comune mortale. Sappiamo anche come alcuni di loro ne siano consapevoli, prodigandosi in attività di volontariato. Ma non è possibile che in un Paese in profonda crisi economica, dove tanti pensionati, impiegati, lavoratori, non riescono ad arrivare alla fine del mese, i calciatori, scendano, una domenica, in sciopero. Non è lecito, moralmente, non solo rispetto agli italiani in crisi, ma anche a colleghi sportivi che ci hanno dato molto più onore, più oro e più gloria di loro. Le schermitrici Vezzali e Trillini e Granbassi, le Belmondo e le Cagnotto, gli Abbagnale e i Chechi. Ve lo immaginate Yuri in sciopero? Si presenta agli attrezzi e rimane immobile. Non lo avrebbe mai fatto, anche se motivi per lamentarsi ne ha certo avuti. Ma la classe, come ormai recitano orecchiando mnemonicamente anche i calciatori e i procuratori, e persino qualche dirigente di calcio, la classe non è acqua.
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