mercoledì 25 agosto 2010
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«Tante parole nuove dovranno essere inventate, e quando l’ebraico non basterà, la lingua araba, sorella della nostra, ci fornirà i suoi suggerimenti». L’auspicio di Eliezer Ben-Yehuda, l’ebreo russo che, arrivato in Palestina nel 1881, si dedicò a far rinascere l’ebraico come lingua moderna, non si è realizzato. O, per meglio dire, si è realizzato come molte cose da quelle parti: l’ebraico, come lo Stato di Israele, è rinato per conto suo, a dispetto e spesso anche "contro" l’arabo. Con il passare dei decenni, inoltre, il rafforzamento dello Stato ha potenziato la penetrazione della lingua: gli studenti israeliani di lingua araba (già impegnati con una lingua madre che tra lo scritto e il parlato presenta notevoli differenze) devono raggiungere un’alta padronanza dell’ebraico per aspirare alla migliore educazione scolastica e professionale. L’arabo, poi, ha subito in Palestina una sorte unica al mondo. Lingua dominante in tutta la regione, è diventata lingua secondaria in quella sottile striscia di terra, pur essendo patrimonio della corposa minoranza palestinese (20% della popolazione totale di Israele) come di una parte significativa (almeno il 40%) della stessa popolazione israeliana, originaria di Paesi arabi. Non è notizia da poco, dunque, quella che arriva dallo Stato ebraico, dove la lingua araba diventerà materia di studio obbligatorio già in quinta elementare. Il provvedimento è stato illustrato dal ministro per le Minoranze, il laburista Avishay Braverman, che alle precisazioni tecniche (il nuovo corso partirà dalle scuole delle zone centrali e settentrionali di Israele, quelle meridionali arriveranno in un secondo tempo), ha aggiunto l’auspicio di un «rafforzamento dei legami tra arabi ed ebrei in Israele». L’auspicio è molto meno peregrino di quanto una lettura superficiale potrebbe far credere. Per capirsi, va da sé, bisogna riuscire a parlarsi: insegnare l’arabo solo a partire dall’inizio del liceo e con la possibile alternativa di lingue più "simpatiche" (russo o francese), come avveniva prima, equivaleva a emarginarlo dall’orizzonte culturale dei giovani israeliani. Anticiparne lo studio di quattro o cinque anni vuol dire cambiare radicalmente prospettiva. E poi da tempo le autorità dello Stato ebraico si preoccupano della capacità di Israele di "raccontarsi" agli arabi. Un anno cardine è stato il 2006, quando il ministero degli Esteri varò una sezione in arabo (la prima dei grandi siti ufficiali) che ebbe un immediato successo. Da allora le iniziative si sono moltiplicate (nel 2009 Israele ha scelto un film in lingua araba, "Ajami", come proprio candidato agli Oscar), per intensificarsi nel 2010: entro l’anno dovrebbe partire un canale televisivo satellitare israeliano in lingua araba e lo stesso premier Netanyahu ha deciso di dotarsi di un portavoce, Ofir Gendelman, specializzato nei contatti con i media arabi. Propaganda? "Hasbara", come si dice laggiù per indicare una via di mezzo tra pubbliche relazioni e diplomazia? Il tentativo di mettere a frutto la lezione del capitano Avichai Edri, la cui intervista in arabo ad al-Jazeera, durante la guerra di Gaza, ha raccolto più di un milione di visioni su YouTube? Può darsi. Ma anche una propensione a parlare di sé, e a spiegarsi ai "vicini", che rende Israele più aperto al Medio Oriente a cui pure appartiene e che per molto tempo ha visto come un’entità solo ostile. A proposito: sempre quest’anno, il governo israeliano ha deciso che il 7 gennaio, data di nascita di Eliezer Ben-Yehuda, diventi il Giorno della lingua ebraica. Perché per parlare agli altri, come Ben-Yehuda sapeva e ripeteva, è bene prima capire se stessi.
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