giovedì 26 novembre 2015
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Caro direttore,
ho letto sue risposte a lettere simili a una mia mail inviata qualche giorno fa circa il Giubileo da celebrarsi nelle diocesi del mondo, senza “scomodare” eccessivamente Roma (dove c’è chi è pronto ad approfittarne per tutti altri scopi...). Propongo, allora, che “Avvenire” faccia un titolo a caratteri cubitali, tipo: «Giubileo, a Roma come nelle Diocesi d’Italia».
 
Giampiero Mazzalupi
Veramente, caro signor Mazzalupi, il titolo che lei vorrebbe vedere dovrebbe suonare «Giubileo, a Roma come nelle Diocesi del mondo». Del mondo intero, non solo della nostra Italia. E così lo faccio, anche se si tratta di una notizia che scriviamo (e mettiamo nei titoli) sin dalla primavera scorsa: il 12 marzo ci fu, infatti, l’annuncio del Papa, un mese dopo arrivò la bolla d’indizione Misericordiae Vultus e a settembre una lettera – importante e illuminante – indirizzata all’arcivescovo Fisichella, responsabile dell’organizzazione dell’evento. Noi di “Avvenire” non siamo stati di certo gli unici a far sapere che l’Anno Santo si vivrà così, cioè in tutta la Terra e non solo sulle rive del Tevere, accanto al successore di Pietro. Ma devo dire che non molti si sono preoccupati di spiegarlo bene, facendo capire ai lettori che tutte le Chiese particolari sceglieranno e apriranno le loro (e nostre) Porte Sante. Perciò, forse ha ragione lei: un ennesimo titolo, meglio se a caratteri cubitali, potrebbe essere utile sul serio. Infatti, non solo tra i politici, ma anche tra chi fa il mio stesso mestiere (che è quello di informare dopo essersi informati bene) c’è chi non sa o finge di non sapere che cosa sarà il Giubileo della Misericordia. Magari perché si è deciso di imbastire un bel po’ di chiacchiere inutili sull’opportunità di “sconvocare” il Giubileo stesso per motivi «di sicurezza» (nel 2000 ci fu chi prese a pontificare pregiudizialmente contro per motivi… «ambientali» e persino «di traffico»!). Fatto sta che, dopo il nuovo attacco terroristico a Parigi, persino voci autorevoli si sono alzate per chiedere a papa Francesco di stabilire ciò che… ha già stabilito! (Mi verrebbe da dire che questi personaggi sanno scrivere, ma non sanno leggere. Ma non è un pensiero molto giubilare e allora, lo metto tra parentesi). Eppure la dimensione spirituale davvero planetaria dell’Anno Santo non è novità perché già san Giovanni Paolo II volle che il grande Giubileo del 2000 fosse ovviamente romano ma non solamente romano, per questo individuò nella Terra Santa il principale altro luogo privilegiato e contemporaneamente decise, appunto, di radicarlo in tutte le Diocesi del mondo. La scelta compiuta da Francesco rafforza e approfondisce quell’intuizione, secondo lo stile che gli è proprio della Chiesa «in uscita» verso tutti e ciascuno, dentro tutte le possibili «periferie» dell’umano. Basta pensare che potranno diventare «Porte Sante» anche le porte delle celle dei carcerati che decideranno di vivere questo tempo straordinario e questo libero e impegnativo cammino di riconciliazione. Basta pensare all’inedita figura dei «missionari della misericordia», quei sacerdoti a cui il Papa stesso ha dato «l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del Suo perdono». Basta pensare alla ferma volontà di Francesco di aprire per la prima volta della storia lontano da Roma la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia nella Cattedrale di Bangui, cioè nel cuore insanguinato – e purtroppo non è solo una metafora – del Centrafrica. Non finiremo mai di essere grati al Papa per la chiarezza e la forza dei suoi gesti, veri segni di contraddizione e di speranza nel duro tempo che stiamo attraversando, che ci insegnano e ci spingono ad accordare il “respiro” della nostra povera fede all’universalità della Chiesa e alla predilizione di Dio per i piccoli, i semplici, gli «scartati».
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