Rsa, il dovere di continuare e cambiare
sabato 31 ottobre 2020

La drammatica ripresa della pandemia ha nuovamente richiamato l’attenzione sulla sofferenza dei residenti nelle Rsa e sulle difficoltà affrontate da chi si prende cura di loro. Contemporaneamente da diverse parti si insiste con atteggiamenti molto critici, come dice il titolo di un recente articolo di commento su un altro grande quotidiano: «Chiudiamo le Rsa. Ma per sempre». Purtroppo, ci siamo abituati ad affermazioni spiacevoli e irrazionali; chi sostiene che la crisi mette in luce soprattutto la cattiveria umana talvolta ha ragione (si pensi alla dichiarazione di un “esperto” secondo la quale «Chi celebra i 72 anni al ristorante rischia di celebrare un funerale»).

Dove si è nascosta la pietà? Chi ha la responsabilità di questa spaventosa caduta del rispetto per la sofferenza, per la libertà umana, per la fatica di tante persone generose, per la stessa fatica di vivere di tanti anziani? I danni del virus sulle nostre menti, anche di chi non ne è stato direttamente colpito, sono enormi e richiederanno una ricostruzione intelligente, ma soprattutto delicata e molto lunga. Penso che nessuno sia del tutto soddisfatto di come oggi vengono gestite le strutture residenziali per gli anziani. Però il “chiudiamo per sempre” denota un’acrimonia che non meritano tutte le persone che Italia assistono i 250mila concittadini che vi sono ospitati.

L’atteggiamento di chi chiede chiusure rapide e definitive risente del nostro tempo, caratterizzato a molti livelli da risposte semplici a temi complessi. Purtroppo, vicino a noi sono sempre più attive persone che tendono a giudicare la realtà senza tenerne in conto i diversi, molteplici aspetti. Chi è responsabile della cosa pubblica dovrebbe evitare di seguire questa strada, rinunciando magari a qualche applauso, ma certamente contribuendo in maniera efficace alla costruzione di opere e atti necessari per le persone fragili. Marcel Proust scrisse nel 1927: «La vita e le circostanze stesse sono un po’ più complicate di quanto non si dica. C’è una pressante necessità di mostrare questa complessità».

Passando all’oggi, pochi giorni fa il redattore capo della rivista Lancet ha scritto: «Il Covid–19 non è una pandemia, ma una sindemia. Le nostre società hanno bisogno di speranza. La crisi economica che avanza non verrà risolta da un farmaco o da un vaccino. È necessaria una forte rinascita. Approcciare il Covid–19 come una sindemia permette una visione ampia che comprende l’educazione, il lavoro, la casa, il cibo l’ambiente. Guardare al Covid–19 solo come una pandemia esclude questa prospettiva più ampia e necessaria ». Anche l’approccio alle Rsa, al dolore creato dalla morte di tanti residenti, richiederebbe una visione complessiva, che racchiuda il bisogno e le sofferenze, le risposte possibili, le compatibilità umane ed economiche. Una conseguenza seppure non voluta dell’atteggiamento rigido di rifiuto di soluzioni complesse per la vita degli anziani fragili potrebbe portare al ripetersi di quanto abbiamo già visto negli anni 80 del secolo scorso, quando una certa parte politica aveva combattuto contro le Residenze, guidata da una cultura antiistituzionale.

Negli anni a seguire il risultato è stata una riduzione importante dell’investimento economico pubblico in questo settore, con un forte peso a carico delle famiglie. Le battaglie ideologiche producono spesso danni e non lasciano segni positivi; invece un approccio culturalmente e umanamente maturo, come quello che speriamo possa guidarci nei prossimi anni (con i relativi provvedimenti legislativi) potrebbe portare a risultati davvero utili per le responsabilità che le nostre comunità hanno verso i loro membri anziani. Oltre a queste considerazioni culturali e storiche, dobbiamo oggi guardare in faccia la realtà, partendo dal bisogno vero delle famiglie italiane. Dobbiamo andare avanti su due percorsi paralleli, che non si danneggiano reciprocamente. Da una parte le Rsa, che devono inventarsi nuove modalità di assistenza, anche tenendo conto dei problemi di origine infettivologica, trascurati nel recente passato, dall’altro l’assistenza domiciliare, che ha bisogno di investimenti pesanti, di una modellistica che permetta un servizio adeguato alle necessità molto specifiche e differenziate delle famiglie.

Un reale progetto innovativo su queste due pilastri deve rispettare con grande attenzione le diverse esigenze delle persone molto vecchie. Oggi il problema principale è rappresentato dagli ultraottantacinquenni, con molte malattie, con una ridotta autonomia, spesso con rilevanti deficit cognitivi. Questi cittadini hanno bisogno di un’assistenza sulle 24 ore, che contempli sia atti di cura, indispensabili per garantire la sopravvivenza, sia atti di sorveglianza, resi necessari dalla mancata autonomia. In questi casi l’organizzazione di una adeguata assistenza è possibile solo in una struttura, dove la persona fragile riceve cure adeguate e senza interruzione. L’ingresso non è provocato dal capriccio di una famiglia egoista, ma perché non è tecnicamente possibile organizzare a domicilio un’assistenza di intensità adeguata. Peraltro, vi sono situazioni di minore gravità clinica e assistenziale che potrebbero trovare una risposta attraverso adeguati servizi domiciliari. Sono perciò necessari servizi che rispondano rapidamente alla richiesta di soccorso (o anche alla sola richiesta di consigli); è quindi indispensabile anche in questa prospettiva che si compia una radicale riorganizzazione della medicina di famiglia.

È inoltre necessario tenere in conto sia la condizione di solitudine, nella quale vive un numero crescente di persone di età avanzata, sia l’impossibilità di una famiglia di svolgere i compiti di cura e di sorveglianza, a causa di un lavoro femminile che ci auguriamo possa essere sempre più diffuso, della dimensione inadeguata delle case, dei compiti dei componenti della famiglia, i quali devono dividersi, con grande fatica, tra la cura dei figli e quella dei genitori. Se leggiamo con serenità i dati reali della condizione anziana oggi in Italia comprendiamo anche il senso del titolo di questo articolo; le Rsa devono continuare a svolgere una funzione insostituibile nei riguardi degli anziani fragili; però, allo stesso tempo, devono trovare nuove modalità di lavoro, conciliando sempre meglio gli aspetti di salute con la qualità di vita che viene offerta ai residenti.

Associazione Italiana di Psicogeriatria

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