martedì 21 agosto 2012
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Il Mazapégul nel suo cuore strambo lo sapeva. Ma ne ha avuto conferma. Il ragazzetto Meetinghista è più intelligente dell’intellettualone del Corriere della Sera. Ieri la penna di punta del giornale dei padroni (il Corriere) ha scritto a proposito del tema del Meeting. E con argomenti con cui è difficile non esser d’accordo - e questo non è sempre buon segno - conclude che lui nome all’infinito non lo dà. E scrive un articolo in prima pagina parlando dell’infinito per concludere che non bisogna parlarne (forse lo può fare lui solo?) e invece concentrarsi sulle piccole cose, sulle questioni finite. Un simpatico furbastro, un colto contraddittore di se stesso. L’editorialista solitario sul ponte di comando somiglia apparentemente al solitario parcheggiatore o venditore di biglietti Meetinghista. La solitudine dell’editorialista e del Meetinghista di fronte al problema dell’infinito e delle piccole cose è la medesima. Ma l’editorialista solitario conclude che è inutile parlare dell’infinito e di queste cose messe a tema al Meeting, mentre il meetinghista ne vuole sentire parlare sempre. E pensa che la cosa più utile per vivere le piccole e finitissime cose sia alzare lo sguardo continuamente all’infinito, anche grazie a parole poesie canzoni e immagini che ne sono segno e testimonianze. Non a caso oggi al Meeting si parla d’amore. Nel 1912, cent’anni fa, due autori a Parigi, senza conoscersi né frequentarsi diedero vita a due opere teatrali sull’amore che sono fiamme e poesia fortissima: l’“Annuncio a Maria” di Paul Claudel e “Miguel Manara” di O.V. Miloszc. Il Mazapégul le riporta in vita oggi al Meeting perché non si può non parlare d’amore sempre. D’amore, d’infinito. La Chiesa ha smesso di farlo da un po’ (non tutti per fortuna) lasciando il popolo in balia delle De Filippi e dei talk show. La solitudine del Meetinghista e quella dell’editorialista sono simili. Non si creda che qui il singolo si annulla nella folla, il Mazapégul vede gli sguardi di solitari. Ma il Meetinghista crede ai legami e all’infinito presente. L’editorialista, malinconico, a quello assente. E presume sia pudore non parlarne invece che evocarlo, cantarlo, guardarlo.
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