venerdì 27 agosto 2010
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La quinta parola del cuore è: gremito. Gremito come il Meeting. Che a volte si fa fatica a camminare, a trovare una sedia (un buon piatto e un bagno no, quelli si trovano sempre, per fortuna qui sono attenti alle esigenze primarie). Insomma gremito è il cuore. Come una città. A volte un gran traffico. E metropolitanee sotterranee, e ponti sospesi e viali o viuzze. I cuori si affollano: amori, dolori, preoccupazioni, aspirazioni, delusioni. Una Manhattan nel petto, sembra a volte. Una parte della cultura del mondo antico ha aspirato a un cuore senza troppe preoccupazioni, sgombro. Seneca e Confucio hanno esaltato l’immagine di un uomo che ha il cuore netto, senza l’ingombro di cose amate, sofferte etc. Ogni cosa amata, infatti, dicevano questi saggi porta con sé turbamento, e spesso pena. E allora meglio evitare le passioni. E avere il cuore leggero. Predicavano e predicano il distacco. Anche ora - nonostante la tanta retorica mielosa sui sentimenti etc - vige una regola ferrea, una durissima legge non scritta: meglio non attaccarsi a niente, non avere niente e nessuno che entra davvero nel mio cuore, per evitare che si soffra. Poco importa se il vuoto a volte risuona di una eco desolata. O se poi anche ciò che vorresti lasciar fuori entra. La legge dura e non scritta della saggezza dice: sotto la forma di bazar delle apparenze o sotto quella di scaffali deserti meglio tenere il cuore vuoto, non gremito. E invece il Meeting è trionfo del gremito. E di cuori che si gremiscono di incontri, nomi, volti, storie, dolori di altri, gioie di gente lontana, avventure minime e grandiose. Cosa permette a un cuore gremito di non affondare? Di non crepare? Occorre che sia avvolto da un elasticone enorme. Come quelli gialli, spessi, che li tiri all’infinito senza che si spezzino. L’infinito abbraccio di Gesù. Il Dio che si gremì il cuore dei nostri peccati e dei nostri destini, e gli fu rotto dalla lancia del centurione. Cuore spaccato che spaccò la pietra tombale.
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