giovedì 11 marzo 2010
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C’è chi alla mattina legge il giornale (o accende la radio o la tv o il pc) e chi legge il cielo. L’uno penserà che la vita è in balia delle tante forze che si contendono nel magma della storia e della quotidianità. Le forze chiare e oscure della politica, le peripezie dell’economia, le pressioni dei media. E considerando tutto questo sente la vita un po’ assediata, attraversata da possibili guai che si aggiungono a quelli che, per dirla con Lucia nel finale dei Promessi Sposi, vengono anche se non li cerchi. Invece, chi guarda il cielo e vede scendere, come accade in questi giorni, larghi fiocchi di neve intuisce che la vita è forse maggiormente in balia di un altro genere di forze, quelle naturali. Un po’ di neve fa rallentare il passo a tutte le nostre città, portentose di auto, di treni, di aerei e di tram. Un po’ di bianco che scende dal cielo "sconfigge" la gran potenza meccanica che dà il ritmo alla vita. Insomma, guardando il cielo dobbiamo considerare anche ora– nell’oltre Duemila – la nostra vita sottomessa a forze che non generiamo noi, e che paiono ben più di quelle della politica e del potere in grado di condizionare concretamente e nell’immediato la nostra vita. Che ci appare così piccolissima, paragonata alla furia di certi elementi quando si scatenano. Certo, di fronte all’impedimento (quando non alla grave crisi che può esser provocata come in alcuni luoghi da smottamenti, pericoli etc) si può, naturalmente, conoscere la rabbia. Ma di fronte a impedimenti non gravi, a ritardi, a cambi di panorama, si può invece conoscere qualcosa che somiglia a una presa di coscienza nuova. Si può vedere le cose di sempre con altri più limpidi occhi. Siamo indotti a considerare con più distacco la pressione degli appuntamenti, degli impegni, le scadenze degli orari. La vita rallenta, e per un attimo almeno si deve riconsiderare. E magari scoprirsi sì più precaria, più fragile, ma anche per così dire più naturale, libera di adeguarsi a qualcosa di imprevisto, di non predeterminato. Una vita capace di respirare nell’imprevisto. Il maltempo forse ci può insegnare un po’ di buona vita? Sentire più vicini i passi di chi come noi si fa largo in un marciapiede innevato e scivoloso, aspettare con pazienza e magari un sorriso che passi chi ha più età o chi è più incerto, dare una mano a spalare davanti a un cancello, accettare di dover andare a piedi anziché che chiusi nell’abitacolo dell’auto, sono tutte esperienze che possono condurci a guardare con maggior semplicità la vita. La saggezza secolare contadina e marinara, di cui la nostra nazione è stata ricca per lunghi secoli, vista la sua configurazione, ha sempre concepito la vita dell’uomo fortemente inserita nel ciclo delle evoluzioni della natura e nei suoi ritmi. Calendari, proverbi, usanze che riguardano tutte le stanze della casa (dalla cucina alla camera da letto) si sono formati lungo i secoli considerando la vita dell’uomo e della natura in stretto rapporto tra loro. Ora, molto di quel patrimonio è perduto. E prevale una specie di vita neutra che al di là di certe "grossolane" differenze, come la distinzione del caldo dal freddo, non riconosce più se stessa dentro una scena mutante e viva. Anche il cibo tende a essere "uniforme", a non registrare se non limitatamente il fatto d’esser di stagione oppure no. Ci sfugge il senso di cosa sia invece vivere il nostro tempo piccolo, quotidiano e limitato di anni, dentro un tempo grande che è quello della natura, degli elementi, del formarsi a volte secolare o millenario di fenomeni naturali. Poi, dunque, arriva invece la neve, un po’ più di neve del solito e allora dobbiamo alzare il nostro muso di umani, guardare il cielo, guardare il panorama cambiare e cercare come vivere di fronte all’imprevisto. E forse in questo momento, quasi di sospensione, si può aprire la via di una grande semplice saggezza.
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