mercoledì 14 giugno 2017
Serve rompere col passato. La risorsa del Terzo settore. Lo straordinario divario in termini di crescita e di occupazione è meno grave del divario
Rilancio del Sud? Investire su giovani e capitale sociale
COMMENTA E CONDIVIDI

Caro direttore,
da Matera il premier Gentiloni, con un discorso molto deciso nei toni e negli obiettivi, ha voluto 'riposizionare' la questione del Sud nell’agenda del Governo. L’operazione sarebbe stata più forte se il discorso fosse stato pronunciato in una città del Nord, ma in ogni caso, questa annunciata ripresa di attenzione è una buona notizia. Come pure vanno giudicati positivamente i provvedimenti adottati nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri, in materia di incentivi, con la istituzione delle Zone economiche speciali e con l’iniziativa 'Resto al Sud'. Soprattutto per le misure relative al 'mettersi in proprio' non posso che esprimere grande soddisfazione; in fondo più di 20 anni fa, alla Società per l’Imprenditorialità Giovanile ci inventammo il Prestito d’onore, misura per quei tempi innovativa, che ebbe un impatto molto positivo in termini di operazioni avviate (fino al 2002 oltre trentamila) ed anche in termini culturali, impegnando moltissimi giovani ad un sovrappiù di responsabilità personale nella ricerca del lavoro. I l rito meridionalista prevede che, quando ci sono interventi comunque utili, gli 'addetti ai lavori' esprimono un giudizio positivo, ma accompagnato da una buona dose di rassegnazione 'a prescindere': ci vorrebbe 'ben altro' per risolvere il problema. Non sono in questa linea di pensiero. Il mio giudizio è che questi interventi, certamente utili, perfino coraggiosi, considerato lo stato della finanza pubblica, sono ancora troppo dentro una linea di continuità degli interventi per il Sud. Penso che oggi parlare di Sud è soprattutto parlare delle patologie sociali che investono territori sempre più vasti. Lo straordinario divario che registriamo in termini di crescita e di occupazione, è meno grave del divario, crescente, in termini di legalità, di capitale sociale, di fondamentali diritti di cittadinanza. Il capitale sociale è conseguenza della crescita economica? O è ormai forse vero il contrario? Mentre a livello scientifico aumenta il numero degli economisti (e degli organismi internazionali) che affermano oggi perentoriamente che il capitale sociale è premessa dello sviluppo economico, una sorta di inerzia culturale e politica impedisce di tramutare in scelte politiche concrete questa elementare verità.

Per evitare che questa riflessione appaia astratta, faccio un esempio molto concreto. Una delle patologie sociali più gravi del nostro Sud è certamente quella della condizione adolescenziale nei quartieri difficili: non c’è bisogno di elencare dati, né di descrivere situazioni: livelli di dispersione scolastica inaccettabili, scuole spesso 'assediate', diffusa cultura dell’illegalità, comportamenti al di fuori di una pur minima dimensione civica, bullismo, vicinanza al mondo della tossicodipendenza e in non pochi casi, vicinanza alla criminalità organizzata. Se mettiamo in fila i quartieri delle grandi città, ed alcuni territori particolari, arriviamo a dimensioni impressionanti. Certo, non tutti gli adolescenti del Sud vivono queste condizioni: ma non sono neppure una minoranza. Che possiamo fare? Contenere le devianze più acute con la repressione; incoraggiare le esperienze di terzo settore che cercano di fare argine (con risorse ormai pressoché nulle). Sono risposte evidentemente parziali. In realtà questa è una non-risposta. Aspettiamo che migliori la situazione generale e poi, avendo più risorse, ci occuperemo di questi problemi. Atteggiamento molto pericoloso e palesemente inconcludente. Figlio di una cultura tradizionale e superata. Esistono casi verificabili e certificabili in cui il sostegno ad iniziative di aggregazione giovanile ha dato, in determinati territori, buoni risultati.

Alla Fondazione con il Sud, che sostiene iniziative di questo tipo ma che ha risorse limitate, arrivano continue segnalazioni di esperienze preziose ed utilissime e di soggetti che sono costretti ad interrompere il loro lavoro per assoluta mancanza di risorse. Si occupano di sport, di inclusione sociale, di lotta al bullismo, di cinema, di musica: di tutto quanto può concretamente realizzare momenti di aggregazione, di promozione di comunità positive; di tutto quanto può, in una lotta 'corpo a corpo' togliere i ragazzi, uno ad uno, dalla strada, sottraendoli a branchi, tendenzialmente criminali. Perciò suggerisco al Governo di realizzare un intervento di sostegno ad iniziative di aggregazione giovanile nei quartieri e nei territori difficili, anche nel Centro-Nord. Alcuni interventi sono in attuazione come quelli possibili grazie al Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, promosso dal Governo e dalle Fondazioni di origine bancaria. Ma bisogna fare di più.

Vi sono esperienze, diffuse e consolidate, che possono suggerire modalità di promozione, selezione, accompagnamento e rigido controllo delle iniziative. Il Terzo settore ha realizzato esperienze molto importanti e saprebbe certamente raccogliere adeguatamente questa sfida. Le risorse economiche necessarie sarebbero, relativamente, modeste. Quello che serve è una scelta politica 'netta' rispetto al passato e al presente. Sogno di vedere un giorno un Governo individuare in queste questioni le cause vere del divario e che, annunciando le misure economiche per rilanciare lo sviluppo al Sud, metta al primo posto questi interventi. Che, tra l’altro, sono 'perfino' convenienti. Quanto costa alla collettività un minore che entra nel circuito penale (servizi sociali, processi, misure detentive, ecc) e quanto invece aprire o tenere in vita i centri aggregativi? Il confronto è imbarazzante e si basa su dati molto concreti. Solo qualche anno fa nei quartieri a rischio di Palermo, dopo la chiusura di diversi centri per mancanza di risorse, decine di questi ragazzi che li frequentavano, tornati in strada, con un paio di retate sono entrati nuovamente nel circuito penale. Vanificando, per altro, l’impegno e il lavoro di operatori e istituzioni nonché gli investimenti fatti fino ad allora. L’ obiezione è che una politica del genere avrebbe tempi lunghi, forse troppo. È una critica fondata: ma al Sud la somma di politiche urgenti, decisive, risolutive ci ha portato, dopo 65 anni di intervento straordinario e di Fondi strutturali, a risultati assai modesti. Cambiare cultura politica sul Sud non è utopia, è realismo. Non cambiare non è concretezza, ma avventurismo.

* presidente della Fondazione con il Sud

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: