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Le schede del referendum - Maurizio Maule / Fotogramma
Perché tanta paura del dialogo, del confronto, della discussione? È questa paura, infatti, che sembra prevalere nei commenti sui referendum. Ignorando il merito dei quesiti referendari, si interpretano i risultati in chiave di mera prova di forza. Per gli uni, la prevalenza degli astenuti esprime la vittoria schiacciante della maggioranza al governo; il non piccolo numero di votanti viene presentato come una mezza vittoria delle opposizioni, sempre nella stessa logica
Ma nessuno può intestarsi l’astensione come vittoria della propria parte, perché è sempre una sconfitta della democrazia e di tutti coloro che l’hanno a cuore: la partecipazione al voto ne è un pilastro essenziale, già fortemente indebolito da una crescente disaffezione che non va in nessun modo incentivata.
Non si può perciò irridere chi ha scelto di andare a votare per i referendum né annettere tout court i votanti alle file dell’opposizione. Soprattutto, non si possono ignorare le questioni di cui i quesiti referendari sono espressione.
La perduta centralità del lavoro è infatti un grave problema del nostro tempo, così come lo è l’incapacità di affrontare in modo non emergenziale la questione epocale dell’immigrazione.
È noto che l’Italia ha un grande bisogno di immigrati e che per la loro integrazione la cittadinanza è una via obbligata. Tacere su questi grandi problemi irrisolti e continuare nella logica dei rapporti di forza svuota, passo dopo passo, la democrazia.
Non accade solo in Italia. Il dramma degli uomini e delle donne che protestano pacificamente in California perché la loro vita e quella dei loro figli sta per essere stravolta dalla deportation andrebbe preso in seria considerazione. Invece, anche questo dramma viene ignorato diventando semplice materia per un ennesimo scontro di potere: tra il presidente Trump e il governatore Newson, tra potere federale e singoli Stati, tra esecutivo e magistratura...
Lo scontro di potere è sempre a danno dei cittadini, della società, soprattutto dei più deboli, i cui problemi e i cui bisogni vengono strumentalizzati e azzerati, invece di essere governati e affrontati.
Rientra nella logica dello scontro di potere anche il ritmo incalzante con cui in Italia vengono oggi “blindate” riforme costituzionalmente rilevanti. È stato appena approvato – comprimendo esasperatamente i tempi della discussione parlamentare – il decreto legge sicurezza, di cui sono state denunciate tante criticità: le palesi incongruenze giuridiche come l’aggravante per reati commessi in prossimità di stazioni ferroviarie; la durezza di punire fino a otto anni di prigione chi protesta pacificamente in carcere o in un Cpr (“norma anti-Gandhi”); l’inquietante articolo 31 che consente a chi governa di autorizzare la costituzione di gruppi terroristi... Non è stato possibile nessuna modifica o migliorìa proprio per la scelta di “blindarlo”, riducendo il Parlamento all’impotenza.
A breve sarà inoltre presentata al Senato una riforma costituzionale di cui sono stati rilevati tanti aspetti problematici: presentata come legge per la “separazione delle carriere” tra pm e giudici, ha poco a che fare con quella richiesta da Berlusconi – si ispira piuttosto ad una vecchia proposta di Almirante –, rischia di trasformare i pubblici ministeri in “avvocati della polizia” e indebolisce l’indipendenza della magistratura. Proprio perché blindata non sarà possibile migliorarla. Nel mese di luglio è inoltre previsto che l’esame alla Camera del premierato, una legge che cambierà radicalmente l’assetto politico-istituzionale italiano e su cui sono state formulate tante osservazioni ponderate e competenti. Ma la logica è sempre la stessa: nessuna discussione, nessuna miglioria, conta vincere. Che poi tutto questo peggiori o migliori la vita del popolo italiano, non sembra avere molta importanza.