Rifare tutto «come e dove era» o dire basta? Ricostruire bene si può
venerdì 4 novembre 2016

Caro direttore,
siamo proprio sicuri che sia davvero il caso di ricostruire questi paesi lì dove erano? E poi proprio come erano? È vero che prima di crollare hanno resistito tanti secoli ma prima o poi anche i secoli più lunghi passano. Non sarà piuttosto arrivato il momento di utilizzare anche la saggezza insieme alla conoscenza e alla tecnologia? Non potremmo immaginare che questi cataclismi ci tirano le orecchie e ci ricordano che siamo stati temerari e presuntuosi nello sfidare la natura? Forse è arrivato il momento di costruire altrove diversamente.

padre Sergio Cerracchio C.S.J.


L’impegno a rifare tutto "come era e dove era" – case e chiese, aziende e scuole, torri e campanili "come erano e dove erano" – non può significare affatto, caro padre Sergio, rifarli fragili come prima del terremoto… Ha senso solo se vuol dire che si intende preservare la forma e adeguare la sostanza di quegli edifici e di quei tessuti urbani, ma soprattutto se è un impegno che trasmette con concretezza ai cittadini colpiti dal sisma in Centro Italia la volontà dello Stato di non lasciarli soli e di rispettare il loro legame con una storia lunga e viva. Nelle parole del presidente Mattarella e del premier Renzi questo ho colto e su questo vigileremo da cronisti. La nostra Italia, del resto, è un Paese soggetto a scosse telluriche in ogni dove, davvero in ogni suo angolo. Perciò, se tanti di noi – come lei ipotizza con slancio preoccupato – lasciassero le loro zone martoriate in cerca di un altrove di tranquillità assoluta, dove potrebbero riparare? Dove e come potrebbero sperare di aver seminato definitivamente il "mostro"? La gran parte dei bellissimi edifici civili e religiosi che rendono unica questa nazione sono stati restaurati più e più volte, rimaneggiati e, i molti casi, ritirati su daccapo. L’esperienza deve farci sempre più saggi, e non può e non deve indurci – se non è proprio indispensabile, e raramente lo è – a rinunciare a territori, insediamenti e attività a essi legate che costituiscono un patrimonio di grande valore umano e spirituale tanto quanto paesaggistico, artistico ed economico. Proprio questo devastante terremoto, che ancora continua, dimostra che si può costruire e ricostruire con criterio. Il collega Antonio Maria Mira ha sottolineato con efficacia, nel nostro editoriale di prima pagina del 1° novembre («La "lezione" di Norcia, ieri e oggi. Insieme si può»), che è questa limpida e seria impostazione che salva vite umane, anche quando gli edifici risultano seriamente lesionati. Solo questo è certo, ragionevolmente certo. Perché ha indubbiamente del miracoloso la mancanza di vittime in questo drammatico secondo tempo della "stagione sismica" che stiamo attraversando dallo scorso 24 agosto, ma è anche frutto di buone pratiche come quelle messe in atto nelle ricostruzioni umbro-marchigiane degli anni scorsi, dopo i terremoti delle due ultime decadi del Novecento e, in particolare, dopo quello del 1997. Tecniche e misure di sicurezza che possono e devono essere sempre migliorate. L’Italia, con la sua bellezza prepotente e fragile, è lo splendido spartito che tutti noi siamo chiamati a interpretare. In riva al mare o nelle sue zone più interne e montane. Dobbiamo continuare a farlo ancora meglio.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI