I generali sudisti e Cadorna: ricordare sì, celebrare no
sabato 19 agosto 2017

Suona il cellulare, è un numero sconosciuto, sentiamo cosa vuole: «In America abbattono le statue dei generali sudisti, lei intende tornare alla carica per far rimuovere le targhe in onore di Cadorna dalle vie e dalle piazze italiane?» Beh, fa piacere che qualcuno si ricordi delle battaglie che hai combattuto sui giornali.

Ma i generali americani sudisti e il generale Cadorna sono due cose diverse. E le battaglie per cancellare i loro nomi dai luoghi nei quali noi viviamo e lavoriamo sono battaglie diverse. Il “male” rappresentato da Cadorna e il “male” rappresentato dai comandanti sudisti sono due mali incomparabili. E poi, la battaglia per la damnatio memoriae del nostro generalissimo io la considero vinta e conclusa: ho invitato le amministrazioni comunali delle città del Nord Italia a sostituire il nome di Cadorna dalle vie e dalle piazze a lui dedicate, e a Udine il giorno dopo l’uscita di quell’articolo sul giornale della città il consiglio comunale votò (all’unanimità meno uno) la sostituzione del nome Piazzale Cadorna con Piazzale Unità d’Italia.

Per me, giustizia è fatta. Udine è sufficiente. Perché Udine è la città nella quale il generalissimo aveva posto la sede del suo comando. Era la “sua” città. Averlo rimosso dalla sua città è un buon risultato. Non è che scrivendo sui giornali puoi ottenere molto di più. In America l’iniziativa parte dai sindaci e dalla popolazione, è la gente che tira giù le statue e le fa a pezzi. Perché quelle statue “celebrano” valori che sono diventati dis-valori. Ho scritto “celebrano” e non “ricordano”.

Ricordare si può, ricordare si deve. È celebrare che non si può più. I valori-disvalori per i quali combattevano e morivano i sudisti nella guerra di secessione avevano al vertice lo schiavismo, la sottomissione dei neri, il loro lavoro manuale coatto, la cancellazione della loro dignità umana. Questi valori-disvalori, questi disvalori considerati valori, sono ancora la fonte che alimenta gruppi, associazioni, movimenti in America, e si tratta del Ku-Klux-Klan, del suprematismo bianco, dell’apartheid, del razzismo. La guerra degli Stati che volevano la separazione e la sottomissione dei neri è stata perduta, e questo è un bene per l’umanità. Gli uomini hanno pari dignità, son duemila anni che il Cristianesimo lo predica.

E oggi gli Stati Uniti d’America sono il Paese che guida l’umanità in questa direzione. Può permettersi di avere statue in onore di chi andava nella direzione opposta e uccideva e moriva? L’abbattimento delle statue dei generali sudisti ha qui la sua origine. Tuttavia la rimozione è una cosa, la distruzione un’altra. Avrei preferito che le statue venissero conservate in qualche museo. Chi vuol vederle, va lì. Guardandole, può sentire una civiltà scaduta, e capirla. Quando fanno in tv “Via col vento” lo guardo per la millesima volta. È un film (e un libro) razzista e schiavista, ma ti fa capire come potessero esistere i razzisti e gli schiavisti. Ancor oggi ci sono ragazze che s’identificano con Rossella. Bruciare il libro? Come bruciare un uomo.

Cadorna è un problema diverso. Io ero e sono per la rimozione del suo nome dalle strade e dalle piazze perché disprezzava e sprecava i nostri soldati a migliaia, con ordini insensati e per operazioni suicide. Ho visto un film di Malick in tv, di recente, “La sottile linea rossa”, storia di un reparto americano in prima linea. «Capitano, porti i suoi uomini all’assalto» ordina un colonnello. «Signor colonnello, non eseguirò il suo ordine» risponde il capitano. «Io la manderò alla Corte Marziale» minaccia il colonnello. «Signore, la informo che ho due testimoni accanto a me, e le consiglio di procurarsi due testimoni anche lei, perché se io obbedisco al suo ordine, porto il mio reparto al suicidio». Il colonnello ritira l’ordine. Una cosa così, Cadorna non l’ha mai fatta. Ha mandato i nostri soldati al suicidio infinite volte, caparbiamente, consapevolmente. Merita statue, strade, piazze, un comandante del genere? No, meritava la Corte Marziale.

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