Repubblica, la festa siamo noi
venerdì 2 giugno 2023

Fatto salvo il dovuto e giusto tributo alle Forze armate e alle Forze dell’ordine, la celebrazione di questo 2 giugno, finalmente post-pandemico ma purtroppo ancora immerso nella cupa atmosfera bellica provocata dall’invasione russa dell’Ucraina, induce a riflessioni che vanno oltre la tradizionale parata dei Fori Imperiali. Riflessioni sul significato, diremmo sul senso, della Repubblica oggi.

Una Repubblica come l’Italia, nata sulle rovine fumanti della dittatura fascista e di una guerra sciagurata, ma nata piena di speranza, con il corredo di una Costituzione illuminata e colma di princìpi di civiltà.

Molti di quei princìpi, va detto, sono rimasti in tutto o in parte sulla carta (con la “c” minuscola), oppure hanno subìto nel tempo un’involuzione preoccupante. Un esempio è quello dell’articolo 36, che al primo comma recita: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Un caposaldo di giustizia sociale che forse mai come oggi, nella storia repubblicana, è stato eluso con tanta frequenza e tanta sistematicità. Per non parlare dell’articolo successivo, che attende da sempre la piena attuazione: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione».

Eppure, con tutti i limiti non del dettato costituzionale ma di chi non l’ha saputo o voluto realizzare nella legislazione ordinaria, è questa Carta (con la C maiuscola) che fa della Repubblica nata il 2 giugno del 1946 un Paese ancora libero e democratico. È proprio ciò che siamo chiamati a festeggiare oggi, circondati come siamo da guerre vicine, lontane, visibili o nascoste, da regimi autoritari sempre più diffusi, dall’onda montante di nazionalismi e populismi, perfino da spinte interne verso riforme che rischiano di minare i già difficoltosi equilibri istituzionali: la Repubblica intesa come corpo sociale, civile, economico. Insomma, i festeggiati siamo noi cittadini, tutti. Non un esercito, un’armata, ma un Paese intero inteso come comunità di popolo. Qualcosa di più inclusivo della Nazione e di molto meno burocratico dello Stato. Qualcosa di più umano.

Ne fanno parte medici e infermieri che applaudivamo dai balconi, appena tre anni fa, terrorizzati e relegati in casa da un virus assassino. Dentro ci sono i già pensionati e i giovani precari o in cerca di lavoro che alla pensione guardano come a una chimera. E gli splendidi volontari che spalano il fango nell’Emilia Romagna alluvionata, ma sempre forte e generosa, con la sua gente che non si arrende mai. Ci sono i tanti che hanno marciato ancora da Perugia ad Assisi, dieci giorni fa, in nome della pace tra gli uomini. Ci sono gli imprenditori coraggiosi che praticano l’autentico rischio di impresa, investendo sul serio e pagando i giusti salari. C’è la Chiesa italiana, con i suoi vescovi, i suoi parroci e i suoi fedeli che, giorno per giorno, s’impegnano a tenere viva la speranza e anche a rammendare un tessuto sociale spesso lacerato da ingiustizie, disuguaglianze, egoismi. E, certo, ci sono le donne e gli uomini in uniforme che lavorano per la legalità, la sicurezza e la pacifica convivenza. Ci sono i figli degli immigrati che studiano e giocano con i nostri figli, parlano i nostri dialetti, crescono nelle nostre città. E gli immigrati nati altrove ma che qui lavorano, hanno voglia d’integrarsi e credono nei valori della libertà e della democrazia. Perché quello di Patria è un concetto bellissimo e nobile, se accettiamo l’evidenza solare di un fatto: la Patria è di chi la ama e la rispetta, non di chi vi è soltanto nato e magari non ne osserva le leggi e le norme di civiltà.

Di ciascuno di loro, e di tutti gli altri italiani, parla la Costituzione. E ciascuno è una cellula di quel corpo civile vivo, la Repubblica Italiana, che oggi festeggiamo.

Con l’augurio che sia sempre più civile e vivo, sempre più democratico e giusto.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: