mercoledì 2 luglio 2014
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Caro direttore,
«Oggi essa (giustizia) richiede uno sforzo particolare e soprattutto un grande impegno di solidarietà. Ciò significa essere tutti consapevoli delle necessità di un sacrificio comune. Non dire questo significherebbe ingannare con una falsa demagogia i lavoratori italiani. Essi hanno però il diritto di sapere, di essere certi, direi di essere garantiti, che il sacrificio toccherà a tutti, e in misura proporzionale alle singole capacità, alle risorse di ciascuno. Utilizzare tutte le risorse disponibili per gli investimenti e per l’occupazione, significa anche essere consapevoli che l’esodo dei capitali e l’evasione fiscale costituiscono reati previsti dalla legge, reati che devono essere avvertiti nella coscienza di tutti i cittadini come veri crimini contro la nazione». Sono parole pronunciate da Benigno Zaccagnini nel 1976 che non sono certo in sintonia col cosiddetto "Patto del Nazzareno" siglato tra chi, come presidente del Consiglio, dovrebbe essere il garante dei diritti di tutti i cittadini onesti e un disonesto che ha frodato lo Stato e quindi tutti noi cittadini, per manomettere la Costituzione, da molti considerata una autentica opera di architettura di diritto costituzionale, a opera di uno stuolo di autentici manovali del diritto costituzionale "nominati" a sua volta attraverso una legge elettorale dichiarata incostituzionale e che per via dell’alto numero di astensioni rappresentano soltanto buona parte dei cittadini. Io non mi sento sereno.
Vittorio Savoia, Cesena
Sottoscrivo dalla prima all’ultima le parole di Benigno Zaccagnini che lei, gentile e caro signor Savoia, cita in questa sua lettera. Ma le riforme si fanno insieme: maggioranza e opposizione, anzi opposizioni. Altrimenti, caro signor Savoia, non si fanno o si fanno male. L’infausta esperienza dei due decenni di cosiddetta Seconda Repubblica dovrebbe avercelo fatto capire una volta per tutte, anche perché sono amaramente evidenti i risultati nulli o negativi raccolti nei tentativi che in diverse occasioni, abbiamo speranzosamente ribattezzato il «cantiere delle grandi riforme»... Su "Avvenire" questa semplice e inevitabile verità l’abbiamo scritta per anni, e io stesso l’ho ricordato non so più quante volte (sia su queste colonne sia su quelle dei giornali dove avevo lavorato in precedenza). Perché così succede in democrazia: ognuno sviluppa il suo gioco, ma le regole si fanno insieme. E «fare insieme» non significa necessariamente condividere tutto, ma dibattere con lucidità e passione per poi decidere, magari con saggezza e, comunque, secondo le regole (il che, a proposito di onestà e disonestà, vuole anche dire agire con limpido disinteresse personale e ben percepibile interesse per il bene comune). Ecco perché, caro amico, non mi scandalizza affatto e, piuttosto, riaccende un’antica e troppo umiliata speranza il poter seguire le mosse di un presidente del Consiglio come Matteo Renzi che dialoga senza esitazioni in chiave riformatrice con tutti gli interlocutori disponibili: prima il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi e poi il principale rappresentante in Parlamento del Movimento 5 Stelle, il vicepresidente della Camera Luigi De Maio. Un metodo usato anche con gli interlocutori estranei alla politica (si pensi alle inedite consultazioni aperte sulla riforma del Terzo settore, della Pubblica amministrazione, della stessa Giustizia…). Il dialogo, quando è vero, in genere fa miracoli. E in tema di partecipazione democratica sarei davvero strafelice di poter finalmente registrare il "miracolo" del ritorno alla possibilità per noi cittadini di scegliere il nostro parlamentare (qualche lettore ricorderà che sono contro le liste bloccate e per la preferenza unica, anche nella forma della cosiddetta "preferenza di genere" per un uomo e una donna, ma che apprezzerei ugualmente collegi uninominali con primarie di collegio obbligatorie). Proprio così: dialogando ci si riesce persino a chiarire idee e obiettivi, e accade che si evitino errori. E sarebbe stato un errore grave se Renzi avesse rifiutato di discutere e stipulare un’intesa alla luce del sole con Berlusconi o se non avesse accettato un dialogo altrettanto trasparente, addirittura in diretta web, con il partito di Beppe Grillo. Si dialoga con chi c’è, non chi vorremmo che ci fosse. Vorrei, infine, sottolineare che ho una considerazione più alta della sua di coloro che oggi siedono in Parlamento, sebbene veda nelle due Camere, persino su temi assai delicati, anche alcune evitabilissime e pasticciate iniziative… Questo mi rafforza nel convincimento che l’abolizione totale delle competenze legislative del Senato della Repubblica (e delle autonomie) vada evitata. Superare l’attuale bicameralismo paritario (o perfetto) è ben possibile, ma affidare a una sola Camera politica eletta con un sistema maggioritario praticamente tutta la legislazione nazionale (compresa, per esempio, quella sui diritti di libertà) non sarebbe giusto. Mi auguro di poter essere presto, anche in questo senso, più sereno davanti al lavoro di riforma in corso.
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