Recuperare il senso della nostra finitudine
martedì 24 ottobre 2023

Una riflessione sulle fragilità e la scarsa propensione di imparare dalle tragedie passate Che cosa faremmo se una mattina al nostro risveglio, alzando gli occhi al cielo a scrutare l’umore del tempo, scorgessimo una moltitudine di navicelle aliene circondare minacciosa l’intero globo terrestre? Non è affatto uno scenario da film di fantascienza. Al contrario.

Non sono passati neppure quattro anni, infatti, da quando sul quotidiano affaccendarsi dell’umanità calò il raggelante vento della pande-mia da Sars-COV-2. Il piccolo virus, armato solo della sua virulenza, fece rapidamente il giro del mondo, incurante di mari e monti, per non parlare di muri e fili spinati, accordi politici, trattati internazionali e tutti gli altri veti e divieti di umana ispirazione. Spento sul nascere ogni effimero tentativo di considerare l’invasione virale un problema di “altri”, ci ritrovammo ben presto tutti sotto la stessa tempesta, su barche tutte egualmente fragili e insicure, seppur diverse.

Ci sentimmo impotenti come mai prima di allora nell’ultimo secolo. Il nemico mortale era accanto a noi, ci soffiava con il fiato sul collo senza che noi potessimo vederlo o sentirlo, ma solo subirlo. Fuggimmo l’uno dall’altro nell’intento, per lo più vano, di sottrarci al suo malefico abbraccio. Nel volgere di un respiro – è il caso di dirlo – ci rendemmo conto che il mondo possedeva più armature che mascherine, più carrarmati che respiratori, più basi militari che terapie intensive. Non poteva che essere così, dato il millenario impegno a combattere gli uni contro gli altri. Già, gli “altri”, coloro che sono diversi da noi, rendendo assoluto un concetto relativo, come se fossero solo gli altri ad essere diversi da noi e non anche noi ad essere diversi dagli altri. E ignorando il valore della diversità, relegandolo da primario motore propulsivo dell’evoluzione a motivo di discriminazione e persecuzione. Nel silenzio di quei giorni, l’imperversare sconfinato del virus risuonò come assordante monito che solo con la cooperazione degli uni con gli altri si può sperare di rendere più sicuro il nostro passaggio su questo Pianeta e garantirlo alle future generazioni.

Dissoltasi la lezione del piccolo virus come neve al sole, non è passato molto tempo perché si tornasse alla lotta degli uni contro gli altri, ancor più rinvigorita e sprezzante. A che sono serviti milioni di anni di evoluzione, se le guerre che ancora oggi, in questi stessi giorni, versano sangue umano di adulti, bambini e neonati non trovano uguali nel mondo animale in alcuno scontro per il controllo del territorio? Nulla è più insensato che il soccombere di un essere umano per volere di un altro essere umano, sempre e comunque. Se la mattina al risveglio, quando scrutiamo gli umori del cielo, rivolgessimo il nostro pensiero anche solo per un attimo a tutte quelle navicelle aliene che ci minacciano – le malattie, i capricci della natura, le fatalità del caso – potremmo, chissà, recuperare il senso perduto della nostra finitudine.

Professore Ordinario Scuola IMT Alti Studi Lucca

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