martedì 25 settembre 2012
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Ha ancora una ragione l’insegnamento di religione cattolica nelle scuole? L’interrogativo nasce a seguito di una sorprendente esternazione del ministro dell’Istruzione, secondo il quale tale ragione sarebbe sostanzialmente venuta meno col volgere della nostra società nelle forme della multietnicità, e quindi del pluralismo religioso, seguente al consistente fenomeno immigratorio che caratterizza la nostra storia più recente. L’esternazione è sorprendente non solo, e non tanto, perché dinnanzi ai molti e gravissimi problemi che assediano il Paese, e anche il dicastero governato dal ministro Profumo, la questione dell’ora di religione appare davvero del tutto marginale; non solo, e non tanto, perché lo stesso ministro ha appena firmato un accordo con il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Bagnasco, relativo proprio a questo insegnamento; non solo, e non tanto, perché la questione investe profili di diritto internazionale, che quindi esulano dalle competenze del Ministero della Istruzione. Si tratta di una esternazione che in particolare sorprende per almeno due ordini di ragioni. La prima riguarda i contenuti e i destinatari dell’insegnamento. Al riguardo occorre ricordare che esso, previsto dall’articolo 9 del Concordato, non è catechesi, non ha la finalità di preparare alla recezione di sacramenti, come il battesimo, la comunione, la cresima o il matrimonio; non presuppone un atto di fede da parte dei destinatari e non è, quindi, riservato ai credenti. Esso ha invece lo scopo di presentare oggettivamente ciò che il cattolicesimo crede e professa, con una precisa finalità culturale. Tanto è vero che l’insegnamento di religione cattolica è offerto a tutti, seppure la disposizione concordataria garantisca il diritto di scegliere se avvalersene o non avvalersene. La seconda ragione è di profilo più propriamente culturale. Nel senso che, ancorché investita dalla secolarizzazione, la nostra società – per usare la nota espressione di Croce – non può non dirsi cristiana: basti pensare alla nostra storia, alle opere d’arte sacra disseminate nel Paese, alle tradizioni locali, ai nomi che portiamo o alle feste che celebriamo. Qui si radica la nostra identità. E senza questo 'alfabeto' non si legge nel profondo l’Italia e non si intendono appieno neanche le sue bellezze artistiche. Allora, come si va a sostenere che sarebbe inutile ai nostri studenti si facciano conoscere le radici da cui vengono?, si rappresentino i caratteri di una istituzione molto presente nel Paese?, si dia ragione delle ragioni che spingono porzioni consistenti della società alla solidarietà?, si presenti ciò che costituisce il nucleo della religione che ha costruito le basi della nostra unità culturale? In una società etnicamente pluralista, come insegnano, una consapevole identità è assolutamente necessaria. E per i piccoli venuti anche da lontano a vivere da noi e con noi, e che domani potranno e dovranno essere cittadini italiani, è proprio indifferente avere proposta una conoscenza di questi elementi identitari? Non li si rende più estranei, marginalizzati, dunque poveri, facendo ignorare loro elementi essenziali della realtà sociale e culturale in cui si trovano? Nonostante siano passati ventotto anni dalla revisione concordataria e nonostante le modificazioni profonde verificatesi in tale arco di tempo nella società, le opzioni per l’insegnamento di religione cattolica appaiono ancora altissime; esse comprendono, quindi, anche scelte di non cattolici o non cristiani. Qui è la riprova che l’ora di religione ha una ragione e che la multietnicità sembra aver inciso assai marginalmente.
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