martedì 22 marzo 2016
Salah, i kamikaze e quelli che non sanno quello che fanno
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Salah è un eroe del Daesh? Nella strage di Parigi era uno dei più attivi, entrava e usciva col kalahsnikov dalle stanze dove s’eran nascoste le sue vittime: nel filmato che tutti abbiamo visto c’è una ragazza che entra curva in un bar, corre di qua e di là, cerca un nascondiglio, Salah arriva calmo e dritto con l’arma in mano, vede la donna, punta l’arma e preme il grilletto, la raffica non parte, l’arma s’è inceppata, forse (penso io) il sistema di caricamento, quello che solleva le cartucce dal caricatore (che nel kalahsnikov è curvo) e le porta in canna. Salah rinuncia a sparare e se ne va. La ragazza deve la vita a questo inceppo, che nel kalahsnikov è raro. In quella strage Salah ha fatto decine di vittime. Tutto il gruppo è stato deciso, audace, spietato. Sparavano e abbattevano. Il kalahsnikov è noto per la sua forza perforante: fora anche i nostri giubbetti antiproiettili. Salah è un perfetto guerriero? Per lui, veniva prima la missione, poi la vita? Credevamo di sì. Poi, a missione compiuta, l’ordine era di non farsi prendere, ma farsi esplodere. Salah aveva già la cintura esplosiva allacciata. Se tirava una cordicella, andava in frantumi. La cintura era piena di dinamite o simile, e biglie d’acciaio: farsela esplodere addosso era come farsi scoppiare in mano due-tre bombe a mano. Salah non si fece esplodere. Slacciò la cintura, e la buttò via. L’abbiamo ritrovata, intatta, ancora carica. Salah scappò, vivo, e si nascose. Salah è un vigliacco? Da allora abbiamo pensato che si nascondeva per non farsi prendere da noi, ma neanche dai miliziani del Daesh, che l’avrebbero immediatamente giustiziato per diserzione o tradimento. Appena catturato dalla polizia, Salah ha detto: «Dovevo farmi esplodere allo stadio, ma ci ho ripensato». Un kamikaze che parte per la missione non può ripensarci. I kamikaze delle Due Torri avevan ricevuto un giorno prima della missione un’istruzione, che li guidava minuto per minuto a mangiare, lavarsi, dormire, imbarcarsi e sfracellarsi senza pensare a nient’altro. Una specie d’ipnosi. Abbiamo quel libretto (ed. Quodlibet, 2001). Seguire quelle istruzioni vuol dire seguire Allah. Salah ci ha ripensato? Un dubbio etico, o paura? Adesso, nel covo di Salah, han trovato 'armi pesanti'. Una volta con 'armi pesanti' s’indicavano le armi di reparto, adesso indicano anche le armi individuali. Forse le armi pesanti di Salah sono i kalahsnikov. Vuol dire che in casa ne aveva più d’uno. Per un’altra strage? Voleva uccidere da capo? Qualche voce parla di una strage di 'bambini francesi'. In una strage di bambini non c’è valore militare, c’è soltanto crudeltà. Salah o chi per lui voleva dar prova di crudeltà, per sgomentare il nemico? Salah è un combattente quando si tratta di uccidere gli altri, un riluttante quando si tratta di uccidere se stesso? Questa audacia nel far morire e questa viltà nel morire si riscontra in tanti personaggi della storia. Guardiamo in casa nostra, e non pensiamo alla base, pensiamo ai vertici. Prima Guerra Mondiale, Cadorna. Seconda Guerra Mondiale, Mussolini. Avrebbero dato gli ordini che davano, se avessero dovuto eseguirli di persona? Mussolini ha fatto morire soldati in tutto il mondo, ma quand’è venuto il suo turno cercava di scappare, con un’uniforme straniera. Il Generalissimo sarebbe andato col petto nudo contro le mitragliatrici? Ci avrebbe mandato suo figlio? Lo so, sono i discorsi di Bertoldo. Ma Bertoldo non era stupido. Che cos’è la morte non lo capisci finché uccidi, lo capisci quando tocca a te morire. Finché non ti tocca, non lo sai. Di fronte a Salah che dà la morte agli altri ma non a se stesso, come ai nostri comandanti che mandavano i soldati a morire ma si tenevano in salvo, vale il detto evangelico: «Non sanno quello che fanno».
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