Quelle palestre di rinascita
mercoledì 31 agosto 2016

Mi è capitato di leggere, qualche tempo fa, un libro dal titolo intrigante: 'Architetture resistenti'. Si racconta, con l’immediatezza della graphic novel, di come ci siano architetture che, come l’acqua, la terra e l’aria che respiriamo, fanno parte del nostro quotidiano e ci aiutano a vivere meglio. Architetture 'militanti', coraggiose, visionarie che celebrano la voglia di resistere: al fascismo, alla speculazione, all’economia selvaggia, all’ingiustizia, alla devastazione dell’ambiente.

Così gli stabilimenti Olivetti a Pozzuoli, il Museo dell’Olocausto nella Risiera di San Sabba a Trieste, il Museo della Memoria a Bologna, l’Auditorium dell’Aquila sono architetture che ritrovano etica, creatività, bellezza, partecipazione, consapevolezza, bene comune, capaci di conservare in sé storia e futuro. Posti così diversi da quelli che l’antropologo francese Marc Augè ha definito, con un fortunato neologismo, i 'nonluoghi': spazi che hanno la prerogativa di non avere identità e capacità di creare legami. Autostrade, aeroporti, grandi centri commerciali, sale d’aspetto: zone del mondo dove milioni di esseri umani si incrociano, ma senza entrare in relazione. Posti di transito e basta. In questi giorni, ancora una volta, il nostro Paese, bellissimo e fragile, è stato colpito al cuore. I nostri borghi medievali, i nostri presidi artistici, le case di tanti nostri connazionali, piene di storia, di umanità, di legami sono crollate di fronte alla furia inarrestabile che la natura a volte dimostra. Sono crollate abitazioni civili, ma anche scuole, edifici comunali, chiese. Luoghi di relazione, appunto. E ancora una volta i posti dove si è organizzata quella prima accoglienza capace di far sentire il calore della solidarietà, sono stati palestre e palazzetti dello sport.

La palestra comunale di Ascoli Piceno è stata persino il luogo scelto per la cerimonia di commiato di trentacinque vittime, alla presenza delle più importanti cariche dello Stato. Ha stretto il cuore di tutti vedere allineati sul parquet centinaia di materassi per dare sollievo agli sfollati o, peggio, decine di feretri schierati per l’ultimo saluto. Architetture resistenti, i nostri palazzetti: già. Non solo perché rimasti in piedi, ma perché capaci di rivedere così la propria destinazione d’uso. Dallo sport alla solidarietà il passo è breve come hanno dimostrato anche tanti nostri medagliati olimpici e grandi sportivi autori di iniziative a favore delle popolazioni colpite dal terremoto. Il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, è un buon allenatore di calcio e sa benissimo che ora tutto il Paese farà il tifo per il suo Comune, per Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto.

E Mister Pirozzi sa bene che fra le mille emergenze, prima fra tutte quella di restituire un’abitazione agli sfollati, ci sarà quella di rimettere in funzione i luoghi dello sport. Perché nei campi di calcio, nei palazzetti, nelle piscine si costruiscono relazioni, si stringono i legami di una comunità. Ho avuto l’onore di essere invitato a parlare, da don Gabriele, straordinario parroco, nel Comune di Sant’Agostino, provincia di Ferrara, uno di quelli profondamente colpiti dal terremoto del 2012. L’ho fatto parlando di Giochi Olimpici e di valore sociale dello sport, all’ombra del campanile puntellato di una chiesa del XVI secolo ancora inagibile e di fronte a un cratere dove sorgeva l’ottocentesco Palazzo comunale, fatto brillare con cariche esplosive perché irrimediabilmente lesionato.

Ho parlato di fronte a tanti giovani, mentre pochi metri più in là si disputava un combattutissimo torneo di calcio a 5. In ogni discorso che ho sentito c’era il terremoto: il rumore, il bagliore, i nervi a pezzi, la paura, il senso d’impotenza, ma ho visto con i miei occhi come quella comunità sia ripartita anche grazie allo sport. Che meraviglia quando ad Amatrice, Accumoli, Arquata, Pescara del Tronto, Ascoli Piceno le palestre e i campi sportivi torneranno a riempirsi di ragazzi e ragazze, lì per giocare a pallavolo, a pallacanestro, a calcio. Forse sembra impossibile, ma quei luoghi, oggi epicentro di accoglienza e solidarietà, ritroveranno il loro genius loci e torneranno a svolgere, da vere architetture resistenti, una missione: rendere più forti, stabili, solide le loro comunità, come sempre è successo e sempre succederà in questo nostro meraviglioso e fragile Paese.

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