lunedì 4 maggio 2015
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Gentile direttore,
sono uno studente universitario in Scienze politiche e scrivo a caldo, con ancora negli occhi quello che è successo venerdì primo maggio a Milano, riguardo le proteste violente dei “black block” durante la manifestazione no–Expo. Oltre la gravità dei fatti in sé, è preoccupante la frequenza con cui certe manifestazioni violente stiano avvenendo nel nostro Paese. Vorrei riflettere sulle motivazioni dell’accaduto, che sembrano assenti ad ascoltare i protagonisti e mentre si consumano le solite dichiarazioni dei politici sui media italiani e stranieri, condite di moralismo e di retorica. A me sembra inevitabile tornare alle cause. I black bloc stanno sfruttando qualsiasi occasione per manifestare “dissenso” con la violenza pur senza essere gruppi stabilmente organizzati, almeno con finalità e ideologie comuni. A mio parere, la voce di quel ragazzo della provincia lombarda, intervistato venerdì sera dal TgCom24 per le reti Mediaset, crede che questo sia “giusto” non è altro che la dimostrazione di quale direzione possa prendere il “grido” sempre meno isolato di chi soffre la disoccupazione e l’abbandono. Non è una giustificazione la mia, direttore, ma solo comprensione dello stato d’animo di chi non rimane chiuso in casa, magari davanti ai videogiochi, e non potendo studiare né lavorare sceglie di “sfogarsi” così. Comprendo il lamento di chi vive un disagio sociale trovando compensazione solo nella violenza e scatenandosi contro i simboli del capitalismo e dello sfruttamento. La politica, le banche, i palazzi del potere, i grandi eventi che prima di essere un’occasione sono un immenso costo. I nuovi dati Istat riportano una disoccupazione al 13, troppe energie inoperose trovano spazio d’azione in aggressive rivolte sociali. Non è solo questione di “Expo al via” o “Expo via”, il malessere sociale che porta la costante presenza dei “black blocs” nei grandi eventi europei mi pare debba diventare tema di dibattito serio, alla ricerca di una soluzione davvero concreta. Resta il fatto che Expo2015 è iniziata e a me sembra destinata a essere una lunga maratona, in salita e sull’asfalto inerte. L’Italia è arrivata alla “finale”, ma la gara è appena iniziata e ci sono sei mesi per giocarla e per convincere.
 
Lorenzo Nicolao, studente alla Luiss di Roma
Sei mesi per fare davvero dell’Expo di Milano la grande occasione che è. La sua conclusione, caro Lorenzo, è tutt’altro che solitaria. Riecheggia in uno degli essenziali promemoria scanditi da papa Francesco nel suo Messaggio all’inaugurazione dell’Esposizione universale 2015. È sostanzialmente sovrapponibile a un’immagine scelta con efficacia dal presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi. E, per quel che vale, è anche un mio pensiero. Parto da qui perché mi pare importante ribadire che il “successo” di questo evento non sarà decretato soltanto dai numeri (i Paesi protagonisti, i biglietti venduti, le persone coinvolte, le realtà e le comunità “comunicate”, i guadagni realizzati, il lavoro retribuito…), che pure ovviamente importano, ma dalla qualità delle questioni insieme affrontate e delle risposte insieme delineate all’insegna del «Nutrire il pianeta, energia per la vita». Un tema che non è solo uno slogan suggestivo, ma anche una delle vie per realizzare quell’«umanesimo concreto» di cui parla oggi il vescovo Galantino , segretario generale della Cei, nel nostro inserto speciale dedicato al cammino verso un altro degli eventi di questo 2015: il grande convegno che riunirà a Firenze la Chiesa italiana. Le risposte e gli umanesimi che le ispirano sono infatti decisive, caro giovane amico. Lo sono comunque, ma a maggior ragione davanti a domande che vengono rese più lancinanti da ingiustizie e insoddisfazioni che tanti vivono sulla pelle. Domande che sono non solo incalzanti, ma anche violente. Di una violenza premeditata e nuda, e perciò più repellente, proprio come quella che ha incendiato ieri un prezioso pezzo della civile Milano. Parlo di “violenza nuda” perché è stata circoscritta e, per così dire, lasciata sola da forze dell’ordine capaci di fermare la corsa e sventare i piani dei “black bloc” senza regalare loro nessuna simmetrica violenza destinata a produrre deragliamenti e appiattimenti mediatici. Si sa: quando tutti menano, tutti sono uguali e chi porta una divisa è sempre un po’ più “colpevole”. Violenza nuda, che assottiglia le fila degli indulgenti verso un simile metodo di protesta anche tra i più determinati contestatori delle iniquità del mondo e che indigna la stragrande parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale. A me – come a lei, penso – interessano però anche e soprattutto le “domande nude”, quelle dense e persino drammatiche dettate dalla fame di pane, di lavoro, di dignità, di futuro, ma liberate dalla violenza che vorrebbe renderle più forti e invece le sfigura e le indebolisce. Ci interessa, ci deve interessare, quel malessere sociale che (al netto dei giochi di guerra di coloro che Renzi chiama i «figli di papà») può anche arrivare a cercare simboli (ordinari e straordinari) contro cui sfogarsi, ma soprattutto – ripeto – reclama soluzioni. E le merita. Soluzioni che hanno bisogno di “occasioni”, e di decisioni, e di “investimenti” morali e materiali. Anche la democrazia è un «grande costo», e così tenere in piedi una società umana ben organizzata, e ancor più lo è il progetto – sempre incompleto e sempre da ricominciare – di un vero “governo mondiale”. Le maratone dell’umanità sono tutte in salita. E per chi sa guardare in alto questa non è una scoperta che delude e abbatte, ma un motivo per non perdere il passo e nessuna opportunità per renderlo più sicuro.
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