giovedì 5 giugno 2014
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Secondo i calcoli più accorti, per allargare subito la platea dei destinatari degli 80 euro previsti dal decreto legge sull’Irpef, inserendovi anche le famiglie monoreddito con più di due figli e con entrate non superiori ai 2mila euro mensili, ci sarebbero voluti tra i 60 e i 70 milioni. Pur tenendo conto della necessità di non compromettere gli equilibri contabili dell’erario, non si trattava certo di una grandissima cifra. Eppure non sono stati trovati o non si sono voluti trovare. Un vero peccato, perché da molti giorni diverse fonti governative avevano accreditato una disponibilità positiva, più volte confermata in dichiarazioni pubbliche. Ancora una settimana fa, lo stesso viceministro dell’Economia, il democratico Enrico Morando, aveva parlato di «un’attenzione condivisa» all’interno dell’esecutivo, proprio sulla richiesta avanzata con insistenza dalle forze di maggioranza alleate del Pd, in particolare il Nuovo centro destra. È vero che già il giorno dopo aveva fatto marcia indietro («Per noi il testo deve rimanere così com’è»), ma fino all’ultimo, fino a ieri mattina per l’esattezza, si era lasciato aperto ben più di uno spiraglio, alimentando in tal modo aspettative tanto più giustificate quanto più forte e crescente è la sofferenza delle coppie alle prese con tre o più bocche da sfamare e vestire.Ed è esattamente il punto che non può essere dimenticato da chi, in queste settimane, sta elaborando il nuovo sistema impositivo nazionale: il nostro Paese viene da almeno un trentennio di reiterate e ormai insopportabili discriminazioni fiscali ai danni delle famiglie con figli, specie quando in casa è solo uno dei due coniugi a portare uno stipendio. Alcune di quelle ingiustizie hanno guadagnato in passato perfino la ribalta dei giudizi di costituzionalità pronunciati dalla Consulta. Anche quest’ultima, lo ricordiamo bene, non ha mai avuto il coraggio di "cassare" norme in palese violazione dei principi scritti nella nostra Carta fondamentale, ma in qualche caso ha almeno sollecitato espressamente il legislatore a intervenire, per riparare in qualche modo ai danni accumulati dalle riforme tributarie inanellate a partire dal 1973-74. Appelli, moniti e sollecitazioni che non hanno mai trovato, qualunque coalizione fosse al potere, orecchie disposte ad ascoltare. La misura è dunque talmente colma che davvero non è consentito aggiungere nuove ragioni per recriminare e, ancor meno, ulteriori cocenti motivi di delusione. Di tutto sentono il bisogno, le sempre meno numerose coppie di sposi che si aprono con generosità alla procreazione, meno che di moderne e raffinate versioni del mitico supplizio di Tantalo.Lo scriviamo oggi, prendendo atto che, accanto all’ennesimo diniego di imboccare in concreto la strada dell’equità, il Senato e il governo hanno scritto nero su bianco, nel decreto Irpef che si avvia all’approvazione, un impegno a inserire il "fattore famiglia" nella prossima legge di stabilità. Con la conseguenza – se interpretiamo bene – che, a partire dal 1° gennaio 2015, anche nelle buste paga di padri e madri di famiglie numerose si dovrebbero produrre novità positive e sostanziali. Si tratta, è stato sottolineato, di una norma programmatica chiara e che non si presta a dubbi o a sottigliezze applicative. È chiaro che la traduzione in cifre e sconti effettivi dovrà necessariamente essere graduale. Ma la logica del "tutto e subito" non appartiene certo a chi, per indole e, verrebbe da dire, per imposta abitudine, è ben allenato alla pazienza. Ciò che si pretende è di cominciare a vedere messe in fila, all’interno di un testo legislativo, scadenze, numeri e tabelle, con le giuste coperture, senza oscuri rinvii ad altri provvedimenti o a improbabili risorse future. In poche parole aspettiamo, una volta per tutte, quei fatti concreti e rapidi, senza i quali, come è stato osservato ieri dal presidente della Cei, anche il «grande patrimonio di fiducia» guadagnato dal governo Renzi andrebbe disperso senza rimedio.
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