martedì 3 settembre 2013
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«Ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi. C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni, a cui non si può sfuggire».Ci eravamo abituati al tono sempre caldo, cordiale, del Papa. Domenica nell’ascoltarlo qualcuno di noi ha sussultato: per la prima volta forse abbiamo sentito un Francesco severo; nell’accento, e in quel suo volto ormai familiare. A fronte del ricordo delle terribili immagini da Goutha, di uomini e bambini agonizzanti nei gas lanciati  – dal regime di Assad o dai ribelli, ma comunque, pare ormai, veramente lanciati dai siriani sul loro stesso popolo – il Papa ha cambiato voce e tono. Lui, che dal suo primo giorno a San Pietro ci ha parlato della misericordia immensa di Dio, davanti alle immagini di quei bambini lividi, e al disperato contrarsi dei loro piccoli toraci nel tentativo di respirare, è stato preso dallo sdegno di chi assiste al massacro di un indifeso. Quelle immagini, ha detto, gli si sono fissate nella mente e nel cuore - e con la mano si è toccato il petto, a indicare un groppo di dolore, duro, che gli è rimasto dentro, dal 21 agosto, giorno della strage di Goutha. C’è, un giudizio di Dio sulle nostre azioni, ci ha ricordato Francesco. E quest’uomo che da subito ci ha chiamati fratelli e sorelle, e sempre ci è apparso sorridente, domenica si è mostrato grave. Eppure, anche questa sua gravità ci ha confortati: perchè ha segnato la misura di una indignazione umana e santa di fronte al male assoluto; di un non poter tollerare, o consolarsi, delle facce, degli occhi di quei bambini. Ci sono mali la cui memoria resta, viva e cocente, e tenace nel tempo. Mali così grandi, che proprio non riusciamo a farcene una ragione. E se li vediamo, come spesso in mille guerre lontane capita, passare impuniti, ci può prendere uno scoraggiamento che confina con la disperazione: allora il male vince per sempre, allora non esiste alcuna giustizia? Per questo le parole dell’Angelus di un Francesco dolente tuttavia ci hanno dato un conforto: esiste un giudizio di Dio. Non dimenticherà, Dio, l’angoscia sulla faccia della gente di Goutha; e quella bambina inerte, scossa con rabbia da un soccorritore che non riusciva a farla respirare; e quei giovani immobili e supini, a terra, le braccia spalancate come Cristo in croce. Ci è stato caro, il Papa, l’altroieri, in quella gravità che non gli avevamo ancora visto; nel suo mostrarsi ferito da tanto dolore; nell’insorgere in un monito drammatico e vero. C’è, un giudizio di Dio. Quella improvvisa severità sulla faccia buona di Bergoglio ci ha fatto venire in mente il fra’ Cristoforo del dialogo con don Rodrigo. Quando il frate, che si è prefisso di essere mite, davanti al dileggio della sofferenza di Lucia lascia tracimare una sacrosanta ira: «State a vedere – grida a Don Rodrigo – che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro pietre, e soggezione di quattro sgherri.... ». E poi, con un’autorità che trascende la modestia del suo saio: «Sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno...».C’è, un giudizio di Dio sul nostro male: sulla violenza cui assistiamo atterriti, come in Siria, o in Nigeria, o in altre terre martoriate di cui nemmeno sappiamo. Non è perduto nel nulla, il sangue dei vinti, dei calpestati. Dio ci sta a guardare. Ci ha fatto bene, la faccia del Papa per una volta severa. Come in una casa fa bene ai figli, sapere che un padre buono si può anche arrabbiare. Che c’è il bene e c’è il male, e la scelta non è indifferente. Che una strage di indifesi rimane col suo scandalo aperta, davanti a Dio, come una lacerazione  che non si rimargina. E noi? Noi non possiamo restare indifferenti, ma possiamo caricarci un poco di quell’immane peso. Pregando: per le vittime, e perfino per gli assassini: perchè aprano gli occhi, e si fermino. Digiunando, come faremo sabato. Certi di un disegno in cui il non - senso non esiste, e ogni capello del capo è contato. Ci è stato molto caro, Francesco, anche nell’improvviso oscurarsi del suo sorriso; anzi forse di più, come quando sulla faccia di un padre riconosciamo il dolore.
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