Leggo da un’agenzia che lunedì 13 settembre, primo giorno di scuola dopo un anno e mezzo di pandemia, due ragazzi di 15 anni si sono tolti la vita e una ragazza di 12 anni, quindi chiamiamola pure ragazzina, ha tentato di uccidersi ed è stata ricoverata in condizioni gravissime. Son tre notizie luttuose che riguardano la scuola, e per chi ha insegnato per tutta la vita come me son tre notizie luttuose sulla sua famiglia. Nella mia famiglia è entrata più volte la morte. Fermiamoci e cerchiamo di capire.
La notizia dice «dopo un anno e mezzo di pandemia», quindi che cos’è che crea il dramma, la lunga assenza o il brusco ritorno? Il non essersi visti per così tanto tempo, o l’idea che adesso, di colpo, ci si rivede? Vedo che la Procura di Milano apre un’indagine a carico d’ignoti con l’ipotesi di istigazione al suicidio, e non capisco. Ritrovarsi a scuola, insegnanti e studenti e studentesse, rivedersi, scorgere nelle facce degli altri, non viste per così lungo tempo, i segni del cambiamento, son diventate più mature, più adulte, meno bambine, e quindi anche le nostre facce saran viste da loro come più adulte, più mature, meno bambine, tutto questo può darci una scossa nervosa e mentale che ci destabilizza, ci butta nella crisi, una crisi che noi potremmo essere incapaci di reggere, e restarne vittime? Sì, può essere una spiegazione. Ma credo, istintivamente, che la crisi non venga scatenata tutta e solo dal rivedersi, ritrovarsi a scuola, riprendere la vita, ma fosse in movimento già da prima, già dal non vedersi, non stare insieme, non crescere insieme: se la ripresa della scuola è una scossa, una scossa era stata anche l’interruzione della scuola. Una scossa terribile. Questi che entrano in crisi, e che a Milano cercano di risolverla col suicidio, sono i ragazzi che escono dalla scuola media inferiore ed entrano nella superiore.
Quella è una fase delicatissima e pericolosa. Una fase di trasformazione, di ristrutturazione. Quel che sapevi non vale più, devi imparare cose nuove, tra le materie nuove entra, o sta per entrare, quella maledetta 'filosofia' che non si capisce bene cos’è e a cosa serve. Un filosofo contemporaneo, forse il più grande filosofo del nostro tempo, ha scritto un libretto per spiegarla proprio agli studenti di questa età, che la incontrano per la prima volta, ma nel libretto esordisce scrivendo che «la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale nulla cambia», però c’è, la incontri a scuola e devi capirla. Certo, la filosofia non è un incentivo a suicidarsi. Il suicidio è la via d’uscita, sbagliata, da una crisi. E in quest’epoca di fine pandemia tutti usciamo da una crisi. I ragazzi si trovano in crisi in un momento in cui tutta la società si trova in crisi.
La notizia da cui partivo, i casi di suicidio di studenti a Milano, dice che quegli studenti si sono buttati giù dalla finestra, e il modo in cui uno si suicida dice qualcosa sul suicidio. Questo buttarsi giù dalla finestra denuncia una difficoltà di continuare a stare insieme, studiare, ascoltare le lezioni, aprire i libri, prendere appunti, stare in aula. Una scontentezza di quella cultura che si ha, che ci si procura, una insoddisfazione della scuola, dei libri, una scontentezza dei giovani verso di noi, di noi adulti ma specialmente di noi insegnanti. Non conosco questi studenti, non sono della mia città o della mia scuola, ma conosco il problema su cui sbattono a quell’età: a quell’età dovrebbero capire che loro non si esauriscono in se stessi, non hanno per limite se stessi, non devono prendere ed entrare in crisi quando non trovano niente da prendere, devono dare ed essere contenti quando danno, e questa è un’operazione che possono sempre fare. Tra noi e i ragazzi suicidi da cui partivo c’è stata una incompleta comunicazione.