lunedì 3 febbraio 2014
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L’annunciata parziale privatizzazione di Poste Italiane (attraverso la vendita del 40% delle azioni) ha fatto e farà ancora discutere. Non poco interesse si è concentrato sulla notizia secondo la quale, mentre una quota maggioritaria delle azioni sarà venduta a investitori istituzionali, circa il 5% sarà riservato ai dipendenti (attraverso forme di incentivo all’acquisto), il che darebbe vita a un’esperienza interessante di compartecipazione dei lavoratori agli utili aziendali. È sicuramente prematuro, in assenza di dati certi sull’operazione, esprimere giudizi circostanziati in merito, ma l’occasione può essere utile per richiamare l’attenzione sul tema dei possibili modelli di gestione dell’economia e dell’impresa, e in particolare sul ruolo giocato, principalmente nell’esperienza tedesca, dalle politiche di Mitbestimmung e di coinvolgimento dei lavoratori nelle strategie aziendali. Secondo alcuni analisti, infatti, esiste una significativa correlazione positiva tra partecipazione di lavoratori e sindacati ai destini delle aziende e capacità di reazione alla crisi.È ormai di 20 anni fa il libro di Michel Albert Capitalismo contro capitalismo, che ipotizza la esistenza di due modelli principali di capitalismo, uno di matrice anglo–americana centrato sulla finanza e sull’innovazione del sistema bancario, e uno di matrice tedesca, detto “modello renano”, centrato su investimenti mirati e sostenuti in ambito lavorativo e del welfare e su forme di istituzionalizzazione della codeterminazione (Mitbestimmung) e delle rappresentanze aziendali (Betrierbsverfassung), in un’ottica di confronto e collaborazione tra governo, sindacati e imprenditori sulle politiche sociali e sugli obiettivi di trasformazione del sistema produttivo. La questione – che non considera “terze vie”, come quella ben nota ai lettori di questo giornale, di una possibile economia civile all’italiana – torna ora all’ordine del giorno di fronte ai risultati ottenuti dalla Germania nel contrastare gli effetti più drammatici della crisi e nel gestire la ripresa. Particolarmente indicativo è, ad esempio, il dato sulla produttività, diminuita fortemente in Italia, e meno in Germania, specie nei servizi. O quello della spesa sociale: quella tedesca non è superiore in termini generali a quella italiana, ma vede al suo interno una componente molto forte data dal sostegno al reddito per la popolazione lavorativa. Il collegamento con il “modello renano” viene spontaneo, ed emerge l’ipotesi che fattore significativo di competitività, rispetto alla crisi ma non solo, sia proprio quello dato dagli investimenti pubblici per il sociale, pilastro fondamentale dell’economia sociale di mercato e del “modello renano”.In ambito aziendale, particolarmente importante, nel “modello renano”, è poi l’aspetto delle modalità gestionali all’interno dell’impresa, una impresa che viene percepita come entità non solo economica e produttiva, ma anche sociale, da cui una governance di tipo concertativo anche in ambiti non strettamente legati agli obiettivi produttivi, come gli organi dirigenziali, l’entità e l’impegno degli investimenti in ricerca e sviluppo e il monitoraggio di processi interni, in un quadro di federalismo solidale e concertativo, non solo tra entità politiche territoriali (i Laender), ma anche tra soggetti istituzionali e sociali di rappresentanza e di sviluppo.Nella maggior parte dei Paesi europei, e soprattutto in quelli meridionali, tra cui l’Italia, le politiche pubbliche hanno stentato nel periodo più recente ad adeguarsi alla situazione che si andava configurando. Il welfare pubblico appare in Italia, in particolare, decisamente sottodimensionato rispetto a molte necessità, e al tempo stesso legato saldamente a princìpi tradizionali di tipo riparativo ed emergenziale, e poco o per nulla di tipo promozionale e pro–attivo. La partecipazione dei lavoratori alla gestione responsabile e agli utili della azienda, al di là del valore economico dell’operazione, potrebbe rappresentare un segnale di una utile inversione di tendenza.
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