venerdì 7 novembre 2014
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Aspettavamo questo dato: il prezzo delle schiave vendute dai miliziani dello Stato Islamico. È uscito un editto il 20 ottobre scorso, emanato dal Califfato, proprio per fissare questo valore. Ne ha dato notizia la stampa di Baghdad, e funzionari dell’Onu hanno confermato. Dunque vediamo: quanto vale una schiava? Da che cosa dipende il prezzo? Dallo stato di salute? Dai lavori che sa fare? Dall’età?  Naturalmente, se una persona ha un valore quantificabile in denaro, diventa un bene relativo. Il suo valore può scendere anche a zero o sottozero, il che vuol dire che puoi ucciderla. Se elimini ciò che vale zero, non fai nessun male. Se elimini ciò che vale meno di zero, fai un bene. Qui è compresa l’idea che un omicidio può essere "santo". Ogni volta che urto contro questo concetto, e purtroppo ragionando su queste cronache mi succede spesso, mi sale alla mente un ricordo, non posso fare a meno di citarlo, e se l’ho già fatto chiedo scusa. Il ricordo è questo: una ragazza kamikaze indossa la cintura esplosiva e si fa filmare per lasciare un ricordo alla mamma, alla quale dedica l’addio: «Mamma non piangere, non vedo l’ora di bussare alla porta di Allah con i crani degli infedeli». Le vittime che uccidi sono la chiave con la quale ti apri la porta del paradiso. Certo, non tutto l’islam è così. Ma qui parliamo della fetta di islam che è così.  Per l’Is, quelli che catturi e vendi come schiavi non devono essere della tua religione, perciò vanno bene gli yazidi o i cristiani. Nel venderli come schiavi c’è anche la punizione perché sono infedeli. Non occorre che siano adulti, e sappiano qualcosa della civiltà di cui sono figli. Anzi, il valore più alto viene assegnato ai bambini, e più sono piccoli più valgono. Nella schiavitù presso i romani non era così, e nemmeno nella schiavitù coloniale. Nella schiavitù coloniale, poteva accadere che il padrone amasse una schiava e questa facesse un bambino. Se il bambino era nero, veniva immediatamente schiavizzato. L’Isis stabilisce il valore degli schiavi dividendoli per fasce d’età: 1-9 anni, 10-20 anni, 20-30, 30-40.  Voi direte che il valore più alto ce l’hanno le schiave dai 20 ai 30 anni. Anch’io lo pensavo. Un retaggio, forse, lasciato nel nostro cervello dalla civiltà romana. Ma non è così: il valore più alto ce l’hanno da 1 a 9 anni. Penso che sia per la loro plasmabilità: a quell’età sono una tabula rasa, puoi scriverci quello che vuoi, e naturalmente quello che vuoi scriverci è il tuo Dna culturale. Sui bambini di quell’età puoi. Dopo quell’età, per scriverci qualcosa, devi prima cancellare quello che c’è già scritto. Una faticaccia, e non è detto che riesca. Questi bambini che sono, diciamo così, una tabula rasa, valgono sui 115 euro l’uno. È poco, anche per il Califfato. Il quale si scusa, infatti, e fa capire che i prezzi sono scesi perché i raid americani hanno spento le fonti petrolifere, e le casse statali han bisogno di denaro, subito. Le donne tra i 10 e i 20 anni valgono sui 100 euro. Tra i 20 e i 30, sui 70. Tra i 30 e i 40, sui 50 euro. Il prezzo è indicato in dinari iracheni, qui li sto cambiando in euro, e posso sbagliare. Ma fin qui stiamo commentando un testo scritto, muto e arido. C’è anche una fonte sonora, che dice di più. È un video. Miliziani dell’Is comprano schiave. Uno dice (in arabo, e non tutti sono sicuri del testo): «Voglio vedere i denti, se ha tutti i denti pago di più». Le mie memorie (contadine) mi ricordano le compravendite dei cavalli. L’acquirente guardava in bocca i cavalli, osservava il colore dei denti. C’è un detto che dice: «A caval donato non si guarda in bocca», ma si riferisce ai cavalli che ricevi gratis, quelli che paghi li controlli bene. Dove ci sono persone trattate come cavalli, la Storia fa un salto indietro di duemila anni.
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