sabato 10 settembre 2011
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Si sa che l’informazione ha un ruolo vicariante rispetto all’energia. Per esempio, invece di andare da Trieste a Milano per chiacchierare con un amico, consumando un bel po’ di gasolio, posso ricorrere all’uso dell’informazione facendogli una telefonata. Non sarà la stessa cosa, è vero, per telefono si perdono parecchie componenti importanti della comunicazione diretta, ma spesso il risparmio energetico compensa queste limitazioni e in un momento in cui l’energia pone gravi problemi di costi e di approvvigionamento non è cosa da poco.Ma fin qui abbiamo fatto i conti senza l’oste, perché l’informazione, per essere trasmessa, ha bisogno di un supporto materiale o energetico. In altre parole, anche una telefonata o un’email consumano energia elettrica. Quanta? Un’indicazione in questo senso ci viene ora da Urz Hoelzle, vicepresidente di Google, il motore di ricerca principe del Web: nel 2010 per far funzionare la sua struttura (posta elettronica, YouTube e annunci pubblicitari) Google ha impiegato 2,26 miliardi di chilowattora, che equivalgono al consumo annuo di 200 mila abitazioni. È come se ogni utente avesse tenuto accesa per tre ore una lampadina da 60 watt, consumando 2,26 chilowattora.Accanto al consumo energetico, e sua conseguenza, si deve menzionare l’inquinamento atmosferico: la produzione di quell’energia ha immesso nell’aria 1,46 milioni di tonnellate di anidride carbonica, quanta ne emettono gli usi civili di 70 mila persone. Di fronte a queste cifre (che peraltro si riferiscono anche ai consumi delle strutture dove lavorano i 29 mila dipendenti di Google), ci si rende conto che la funzione vicariante dell’informazione ha i suoi limiti. E proprio per ridurre al massimo le conseguenze negative del consumo energetico e dell’inquinamento, l’azienda di Mountain View ricorrerà entro il 2012 a energie rinnovabili per un terzo del suo fabbisogno. Inoltre, per diminuire i consumi e gli effetti ambientali Google ha progettato e attuato da tempo alcuni tra i server e i centri di smistamento e raccolta dati più efficienti e parsimoniosi del mondo, in grado di funzionare con la metà dell’energia assorbita in media da questi dispositivi. Ma anche con queste precauzioni, si tratta pur sempre di consumi imponenti, che per di più sfuggono alla percezione comune del pubblico.Già un paio d’anni fa, nel 2009, un fisico dell’Università di Harvard, Alex Wissner-Gross, calcolò che ogni ricerca elementare svolta su Google immette nell’atmosfera 7 grammi di anidride carbonica. Wissner-Gross eseguì il calcolo tenendo conto dell’energia necessaria affinché la richiesta arrivi dal computer dell’utente ai server e la risposta ritorni dai server all’utente. La replica di Google non si fece attendere: secondo i calcoli degli specialisti di Mountain View, l’immissione era 35 volte inferiore, cioè di 0,2 grammi per ricerca. Non solo Google, ma tutto il mondo della rete insorse contro la denuncia di Wissner-Gross, giudicata allarmistica. La risposta più pertinente al fisico di Harvard era più o meno questa: «Prima di gettare la croce addosso a Google, chiediamoci se questo motore di ricerca non stia in realtà aiutando l’ambiente, permettendoci con un clic di risparmiare il tempo e la benzina necessari per andare fino a una biblioteca e consultare un libro che a sua volta ha richiesto l’immissione nell’atmosfera di 2,5 chili di Co2, pari a oltre 10 mila ricerche in rete». Ed eccoci tornati alla funzione vicariante dell’informazione.
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