venerdì 16 luglio 2010
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Al di là dell’occasione celebrativa, i vent’anni del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) ricordati ieri a Palazzo Chigi consentono una verifica pubblica di quello che il Cnb è stato capace di diventare: un organismo maturo nella società civile italiana, un’istituzione culturale di prestigio, capace non solo di produrre riflessioni e indicazioni etiche sulle questioni della vita ma anche di essere un luogo che fa cultura ascoltando e parlando secondo le diverse inflessioni in cui si articola l’esperienza e il pensiero della vita e della morte, della salute e della malattia, della clinica medica, della ricerca scientifica e delle biotecnologie. Ha prodotto cultura nazionale, con lo sguardo rivolto al Paese ma senza trascurare quello che accade e si pensa in Europa e nel mondo. Non si vuole qui fare ingenuo ottimismo, né dimenticare quanto è rissosamente accaduto in seno al Cnb, anche in tempi recenti, o sorvolare sul fatto che, a distanza di quattro lustri dal decreto istitutivo firmato da Giulio Andreotti come presidente del Consiglio, manchi ancora una legge che dia un assetto normativo al Comitato, le cui sorti sembrano appese al tenue filo delle decisioni dell’esecutivo. Un albero tuttavia non lo si giudica dalla precarietà del terreno su cui cresce, né dai rami storti o secchi che si intrecciano con quelli germoglianti: lo si apprezza dai frutti che produce.Basta uno sguardo all’elenco dei documenti che il Cnb ha varato nei sei mandati che si sono succeduti dal 1990 (87 pareri, 11 mozioni e 3 risposte a quesiti) per scorgervi il frutto di un lavoro serio, puntuale e costantemente aggiornato. Dopo il collaudo dell’organismo e la formazione di una metodologia a opera del primo presidente, Adriano Bompiani, è toccato ai suoi successori – Adriano Ossicini, Francesco d’Agostino (due mandati) e Giovanni Berlinguer – consolidare l’istituzione, accrescendone il credito e affrontando questioni di grande rilevanza quali quelle che riguardano l’embrione umano e la vita prenatale, la morte e la donazione di organi, la sperimentazione farmacologica, i test genetici e la terapia genica, l’impiego terapeutico delle cellule staminali e la brevettabilità degli organismi viventi, le questioni ambientali e le biotecnologie, la clonazione e l’uso degli animali nella ricerca biomedica. Senza questi densi testi, alla bioetica italiana e al Paese mancherebbe un’ampia fetta di riflessione sistematica e propositiva, che rappresenta anzitutto una provocazione al pensare e all’agire nell’orizzonte di una cultura della vita capace di diventare, secondo le regole della democrazia, anche norma di civiltà per tutti.Al presidente emerito della Corte Costituzionale Francesco Casavola è toccato il non facile compito di affrontare l’attuale mandato del Cnb, caratterizzato, al suo esordio, da velenose polemiche che ha saputo superare ponendo le premesse per un clima di collaborazione e di stima tra i membri, grazie al quale sono nati documenti impegnativi sui grandi prematuri, le chimere e gli ibridi, la donazione da vivo del rene a persone sconosciute, i criteri di accertamento della morte.Dai testi del Cnb emerge quanto sia marginale, nel Comitato e nel Paese, la distinzione formale tra bioetica "cattolica" (o "religiosa") e bioetica "laica", così come quella tra bioetica "di destra" e "di sinistra", che vengono ancora da alcuni – anche autorevolmente – proposte. I cattolici, così come il rappresentante delle comunità ebraiche in Italia, hanno contribuito ad arricchire il dibattito con l’esperienza e la riflessione di fede, che hanno giocato il loro peso nella misura in cui esibivano argomenti razionali. Un confronto che avvenga attraverso il realismo e la ragione è sempre aperto, fecondo, paziente e tollerante, critico e autocritico, e soprattutto rispettoso dell’esperienza e delle ragioni altrui. Di un simile confronto nessuno ha paura, all’interno del Cnb e nel Paese. E da esso tutti possono imparare, anzitutto chi ci rappresenta e ci governa.
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