mercoledì 24 febbraio 2010
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Caro direttore,sono un’insegnante e una lettrice di Avvenire, che apprezzo molto. Scrivo per comunicare la mia delusione in relazione alla riforma delle scuole superiori. Insegno Lettere nel Liceo Scientifico della mia città da venti anni. Con il nuovo riordino dei cicli – che fra l’altro continua a riservarci sorprese visto che, nel caso specifico del Liceo Scientifico, è stato più volte cambiata la denominazione e modificato sensibilmente il quadro orario di alcune discipline (oltretutto in fase di orientamento avanzato) – l’area umanistica e quella linguistica sono state gravemente ridotte. Il Latino è diminuito in un corso ed è stato addirittura soppresso nell’altro; Storia e Geografia ridotte e per di più accorpate (non si sa con quale modalità), Filosofia perde ugualmente ore come pure l’Inglese, tanto decantato dal ministro. Se da una parte condivido alcuni aspetti della riforma, quale il contenimento delle ore di lezione, la razionalizzazione nel campo delle sperimentazioni e, nel caso dello Scientifico, il potenziamento delle Scienze, non capisco invece la drastica riduzione dell’area umanistica e di quella linguistica. È forse un patrimonio divenuto inutile perché non spendibile immediatamente nel campo del lavoro? La valenza formativa del latino, riconosciuta quasi all’unanimità come contributo prezioso per la padronanza linguistica dell’italiano, come possibilità di accesso alla nostra memoria storica, come condizione insostituibile per ragionare con rigore logico, è improvvisamente decaduta? Viene con questi tagli anche snaturato l’impianto stesso del Liceo Scientifico, da sempre basato sul legame profondo tra scienza e tradizione umanistica del sapere. C’è poi un’altra considerazione, non ultima e di non poco conto: la perdita del posto di lavoro di tanti docenti. Non sarebbe stato più opportuno aspettare un anno così da maturare e concordare una riforma più ponderata?

Maria Laura Urbino (Pu)

Do volentieri risalto alla sua lettera, gentile professoressa, perché i rilievi critici che lei formula nei confronti della riforma della scuola superiore sono ben meditati e, certo, non derivano da pregiudizio ideologico. Tutti i problemi da lei segnalati costituiscono, dunque, elementi seri di preoccupazione riguardo l’esito della riforma ministeriale applicata al Liceo Scientifico. Difficile non trarne l’impressione che rispetto agli intenti dichiarati di razionalizzazione e di adeguamento dell’offerta formativa, sia alla fine prevalsa la volontà di contenimento della spesa. Con lei mi auguro che non manchino approfondimenti e preoccupazioni in grado di rassicurare sugli obiettivi di qualità della riforma. Spiacerebbe davvero che un’iniziativa importante e attesa, come quella perseguita e pubblicizzata dal ministro Gelmini, fosse alla fine percepita come un’operazione dove a dettare legge sono state solo le – pur legittime – esigenze di cassa. Sia chiaro: da osservatori consapevoli della realtà italiana mai abbiamo contestato il rilievo da riconoscere alle compatibilità economiche e quindi alla necessità che i soldi dei contribuenti siano spesi al meglio, eliminando sprechi e adottando tutte le misure atte a ottenere il massimo di efficienza, ma i «tagli» non possono essere criterio applicato a prescindere da una obiettiva valutazione delle ricadute sulla qualità dell’offerta didattica e formativa. Raggiungere l’equilibrio tra l’insieme di queste esigenze non è certo facile, ma la politica dell’istruzione pubblica non può accontentarsi di perseguire risultati mediocri. Il tempo che viviamo, la grande sfida educativa che c’interpella tutti e le sfide aggiuntive poste dal fenomeno migratorio, chiedono risposte alte e serie, capaci cioè di preparare i giovani al futuro, preservando e condividendo quel tesoro che è la nostra cultura nazionale.
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