lunedì 10 settembre 2012
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Ci sono alcuni giorni che non si amano per se stessi, ma per l’attesa che li prepara. Uno di questi è il primo giorno di scuola, investito della speranza che un’estate possa aver cambiato tutto. Ma dopo cinque ore ciò che il desiderio aveva rivestito di speranza viene sostituito dalla ruvida certezza che nulla è cambiato: si arrancherà per portare a termine un altro anno. Viene allora da chiedersi, professori (750mila) e studenti (8 milioni): che ci facciamo qui? Perché non registriamo le lezioni su YouTube e pianifichiamo i giorni per compiti e interrogazioni? Ne usciremmo tutti più riposati forse, ma dovremmo ignorare lettere come questa, ricevuta qualche giorno fa:«Gentile professor D’Avenia, ho quasi diciassette anni e studio al liceo. Per tutte le scuole elementari e medie ho cercato di prendere il meglio dai miei insegnanti, per la maggior parte insoddisfatti di se stessi e della loro vita, o semplicemente piatti, e da ciò che cercavano di mettermi in testa, come fosse solamente una scatola vuota da riempire, a volte senza riuscirci, altre volte invece aumentando la mia sete di sapere e di conoscere nuove storie, come quelle provenienti da mondi lontani e antichi come la Grecia, l’Antica Roma, l’Egitto.«Avevo cominciato il liceo piena di entusiasmo, determinazione e voglia di scoprire quale sarebbe stato il mio posto nel mondo, aspettando con gioia e ansia il momento in cui avrei cominciato a studiare per davvero ciò che mi piaceva tanto. Ora tutto l’entusiasmo e la determinazione sono stati sostituiti da noia e incertezza, la gioia dalla paura, e c’è solo tanta ansia nel pensare all’inizio di questo nuovo anno scolastico, il cui ambiente è spietato e duro, carico di tensione e di aspettative, e dove non esiste "l’unico triangolo amoroso che renda tutti felici" di cui parla spesso lei, composto da alunni, genitori e insegnati disposti al dialogo e alla collaborazione. «Si pensa solo al risultato, tiranneggiando costantemente i ragazzi e la loro voglia di imparare con tranquillità e passione, senza cercare di capirli, e non provarci nemmeno. Sulla carta sono tutti degli ottimi insegnanti, ma nella realtà di tutti i giorni rivelano le persone che sono veramente: alcuni incapaci di insegnare, altri capacissimi di farlo, ma assolutamente incapaci di educare, che sono due concetti molto diversi. Nonostante tutto questo, io ho ancora tanta voglia di scoprire qual è il mio posto nel mondo, e provo ancora entusiasmo e gioia nell’ascoltare e nell’apprendere. Voglio ritrovare la mia determinazione per qualcosa d’importante per me, per fare la mia strada, a tutti i costi... Ci provo, anche se non so come, né quando, né per che cosa...».All’inizio di un nuovo anno ciascuno potrebbe provare a rispondere a queste righe (o chiedere ai propri studenti di scrivere cosa ne pensano) che tanto lucidamente mettono nero su bianco il cancro che corrode la scuola. Non è questione di lavagne elettroniche ed effetti speciali. Ma di persone. Non è questione di forma, ma di ri-forma mentis.
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