martedì 6 marzo 2012
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Non s’è acconten­tato di vincere. Tornando al Cremlino per la terza volta, Putin ha voluto identificare il suo straordinario successo elettorale con il trionfo della Russia. «Noi siamo una nazione di vincitori. L’impulso a vincere è nel nostro codice genetico!», aveva dichiarato alla vigilia del voto evocando Kutuzov. Come il famoso generale delle guerre anti-napoleoniche, zar Vladimir ha finto di lasciare la capitale in mano agli avversari, per poi contrattaccare facendo appello alle forze nascoste e immense della Grande Madre Russia. E mentre tutto il mondo aveva gli occhi puntati su Mosca, invasa da inedite manifestazioni di protesta, lui faceva campagna in giro per il vasto Paese presentandosi come il garante della stabilità messa a rischio dai nuovi rivoluzionari. Ha vinto, ma non ha cancellato le ombre che aleggiano sul voto, a cominciare dalle accuse di brogli avanzate dai leader dell’opposizione e da tanti osservatori volontari del movimento civico e confermate dagli osservatori internazionali.Il leader con la fama di duro s’è commosso fino alle lacrime davanti ai suoi sostenitori. Ma, come stava scritto su un cartello in piazza Pushkin, luogo storico del dissenso fin dai tempi sovietici, "Mosca non crede alle lacrime", titolo di un famoso film russo che s’aggiudicò il premio Oscar all’inizio degli anni Ottanta. Anche i suoi critici più intransigenti gli riconoscono il merito d’aver fatto uscire il Paese dal caos dell’era eltsiniana e d’aver risollevato l’economia, complice l’alto prezzo del gas e del petrolio. In questo modo ha contribuito a creare una nuova classe media che oggi gli si rivolta contro denunciando il restringimento progressivo della libertà d’informazione e la cleptocrazia di una nomenklatura inefficiente e vorace. L’assenza di riforme economiche e l’arroganza politica del potere hanno provocato rabbia e indignazione che hanno toccato il culmine all’indomani delle elezioni parlamentari dello scorso dicembre, le più sporche degli ultimi vent’anni.Con questa rielezione e con l’allungamento del mandato presidenziale introdotto di recente (rinnovabile alla scadenza), l’uomo forte della Russia potrebbe teoricamente restare al Cremlino fino al 2024, più di Breznev e un po’ meno di Stlin. Non si vedono per il momento alternative credibili. I vecchi rivali come il patetico comunista Zjuganov e il funambolico nazionalista Zhirinovskij sembrano essere arrivati a fine corsa. Il nuovo che avanza ed ha il nome di Prokhorov, allampanato oligarca con tanti miliardi ma senza un briciolo di carisma, resta un’incognita. È probabile che il movimento civico di protesta continuerà, ma appare sempre più frantumato e diviso, senza un leader riconosciuto e senza un programma politico al di fuori dello slogan "Russia senza Putin" che oggi appare più che mai utopistico.Ma il vecchio-nuovo presidente compirebbe un grave errore se pensasse che tutto può procedere come prima. La democrazia guidata dall’alto che ha imposto in tutti questi anni si è trasformata in un regime autoritario che favorisce l’immobilismo e la corruzione. E questo alla lunga non è più sopportabile, anche perché la crisi globale ormai non concede grandi spazi di manovra. Putin deve scegliere se mantenere la 'verticale del potere', controllando ogni ingranaggio di un sistema ingrippato, oppure dare il via a riforme coraggiose, aprendo alla piena libertà dei mass media e permettendo la nascita di nuove formazioni politiche. E dovrebbe tener presente la profezia di Bulgakov: «Tutto può ancora accadere perché nulla può durare in eterno».
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