mercoledì 7 gennaio 2009
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Tutto si può dire di Vladimir Putin, meno che sia incoerente. Sul finire di dicembre, durante il battagliero Forum dei Paesi esportatori, il premier russo aveva ammonito che « l’epoca del gas a basso prezzo » stava finendo; a Capodanno ha minacciato «serie conseguenze» per chi insidia l’economia russa; l’altro giorno ha caldeggiato la decisione del colosso energetico Gazprom di ridurre di circa 65 milioni di metri cubi di gas al giorno le forniture all’Europa attraverso l’Ucraina. Quest’ultima dal primo gennaio è stata già privata dell’' oro blu' russo perché accusata di rifiutarsi di saldare il debito ( un residuo di circa 840 milioni di dollari) contratto da Naftogaz ( la compagnia energetica ucraina) con Gazprom, nonché di «sottrarre abusivamente» dai gasdotti che l’attraversano una sessantina di milioni di metri cubi al giorno. Al riguardo Naftogaz obietta che si tratta del cosiddetto « gas tecnico » necessario a tenere in funzione il sistema, che il prezzo del gas imposto dalla Russia è troppo elevato, mentre è troppo basso il compenso riconosciuto da Gazprom per il « diritto di transito » del gas sul suolo ucraino. Se la ripresa delle trattative fra Gazprom e Naftogaz, prevista per oggi a Mosca, non sfocerà in un accordo che soddisfi le parti, si potrà parlare di una vera e propria ' guerra del gas', analoga a quella che, nel gennaio del 2006, fu sul punto di diventare un dramma per l’Europa intera. Oggi la situazione è migliore, perché l’Europa nel frattempo ha aumentato il numero dei fornitori, e perché la quantità di gas stoccato assicura una certa tranquillità. Ma, ovviamente, non all’infinito. Ci sono Paesi (come Bosnia, Slovacchia, Romania e Grecia) per i quali la fornitura russa è già essenziale. A lungo andare essa può diventare irrinunciabile anche per altri, come l’Italia, per la quale il gas russo copre circa un quinto del proprio fabbisogno. Il ministro per lo sviluppo economico, Claudio Scajola, ha firmato un decreto per aumentare i flussi da Paesi diversi dalla Russia, e ha affermato che « per alcune settimane non ci sono preoccupazioni» . In realtà non ci sono motivi di allarme immediato, ma questo non deve far venir meno l’attenzione allo "zar" Putin, che spalleggiato dai ' bojardi del gas' ribadisce due chiari messaggi: il primo è che la Russia, in difficoltà per la crisi economica, cercherà di tenere il più alto possibile il prezzo delle proprie risorse, tra le quali figura non soltanto il gas, ma anche il petrolio ( che proprio ieri ha superato di nuovo la soglia dei 50 dollari al barile). Il secondo messaggio dice al mondo che all’interno del confine che cingeva la Terra dei Soviet sarà sempre Mosca a dettar legge, e a far rispettare quella legge con ogni mezzo, compreso, se necessario, l’uso delle armi. Oggi tocca all’Ucraina recalcitrante, in profonda crisi economica, politicamente e culturalmente divisa fra slanci filo- occidentali e la tentazione di un ritorno al passato. L’Ucraina non è la Georgia, ma l’amara lezione della guerra alla Georgia dovrebbe essere ricordata, oltre che dalle Repubbliche ex sovietiche, da quelle cancellerie occidentali che esaltano l’ « amicizia » con Putin mentre non danno peso, per esempio, al fatto che, su richiesta di Mosca, gli osservatori dell’Osce ( Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) devono ritirarsi in questi giorni dai confini con l’Ossezia del Sud. E l’Unione europea? Dichiara « inaccettabile » il taglio delle forniture, e invoca «negoziati per una risoluzione definitiva» di quella che continua a definire « una disputa commerciale» .
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