venerdì 15 luglio 2016
La morte del boss e le cronache sollevano interrogativi. Marco Tarquinio risponde ai lettori.
Vite da cani di Ferdinando Camon Lo sciupìo di una vita di Maurizio Patriciello | La vittoria delle vittime di Antonio Maria Mira
Provenzano, quel video e la giustizia
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Caro direttore, stavolta ti scrivo una lettera. In occasione della morte di Bernardo Provenzano, mercoledì 13 luglio è stato diffuso (anche da tg Rai) un video, forse l’ultimo che lo ritrae. È una ripresa nel carcere dove si trovava a scontare la pena nel regime del 41bis. Il vecchio 'boss dei boss' è curvo, porta un berrettino sformato. Tiene in mano il citofono: la scena si svolge infatti nell’area riservata ai colloqui. Prende la cornetta, ma la porta all’orecchio tenendola rovesciata: la guarda, la riguarda; la voce, fuori campo, del figlio, ripete: 'Papà, devi girarla'. Non so se sono l’unica a pensarla così, ma io ho trovato almeno di pessimo gusto, se non indecente, trasmettere un video di questo genere. Come ha fatto a uscire dal carcere? Chi ne ha autorizzato la pubblicazione? È un video che, secondo me, viola la dignità umana. Certo, si può rispondere, che dignità può reclamare una persona che ha sistematicamente ordinato stragi e delitti efferati? Ma il punto è che la dignità umana non dipende dall’essere degno della persona. La dignità umana è a monte di ogni azione e di ogni valutazione sulle capacità o sulle scelte di chiunque. E questa pietas deve essere prima e alla base di ogni giustizia. Mi torna alla mente la scena, meno straziante ma comunque indegna, di Saddam Hussein dopo il suo arresto da parte degli anglo-americani in Iraq. Anche Saddam aveva le mani lordate del sangue di tantissimi innocenti; anche il suo arresto, come quello di Provenzano, era più che giustificato e desiderabile. Ma anche in quel caso, a che pro diffondere immagini in cui il prigioniero veniva mostrato piegato, con l’abbassalingua in bocca e lo sguardo vuoto? Mostrare il 'nemico' schiacciato e umiliato può paradossalmente portare a un rigurgito di simpatia nei suoi confronti e a vedere i carnefici come vittime di una giustizia che appare vendetta e cede alla logica della gogna. La giustizia umana si fonda sull’inviolabilità della dignità umana. E laddove al singolo individuo, magari ferito da perdite strazianti, può risultare difficile mantenere questo rispetto verso l’assassino, lo Stato e i suoi apparati devono farsene garanti: altrimenti, i princìpi stessi su cui si basano processi, pene e condanne risultano distorti, inaffidabili, discutibili. Più in alto c’è poi, per i credenti, la giustizia divina. A quella l’ultima parola su Provenzano: e, nonostante tutto, non possiamo non sperare nel pentimento e nella misericordia anche per lui. Chiara Bertoglio Credo, cara Chiara, che tu abbia centrato un punto tutt’altro che marginale per chi, come noi, coltiva un’idea salda e forte di giustizia. Ho visto quelle immagini di Bernardo Provenzano anch’io, in diversi tg, e ho notato che sono state riprese di fronte e di spalle, il che fa ritenere che non si tratti di un video rubato, ma del frutto di riprese ufficiali. E questo autorizza tutti i dubbi e le domande che tu condividi in questa lettera, e induce alle tue conclusioni. Esse integrano le riflessioni sullo sciupio di umanità nella vita e nella morte di Provenzano, il grande «peccato» visto e gridato ieri da don Maurizio Patriciello in questa stessa pagina dove oggi Ferdinando Camon e Toni Mira ragionano su altri aspetti della sconfitta del vecchio e terribile capo della mafia siciliana. Essere capaci di coniugare fermezza e rispetto, legalità e umanità è giustizia, non essere capaci di questo è ingiustizia. 'Loro', i mafiosi e gli assassini di ogni risma, non possono e non devono vincere perché sono ingiusti. Ma tutti noi, che non diamo ragione alle mafie, non possiamo che batterci per la giustizia. Senza esitazioni, senza farci tentare dalla disumanità.
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