Per ora sappiamo che l’accordo prevede il cambio di 'destinazione d’uso' del Senato in Camera delle autonomie e la riforma della riforma del Titolo V della Costituzione. Assieme a «un sistema elettorale che assicuri la governabilità, rafforzi il bipolarismo e riduca il potere di ricatto dei piccoli partiti ». E qui, al di là delle alchimie partitiche, occorrerà evitare due grandi errori. Il primo sarebbe quello di forzare la crescita del bipartitismo, da noi del tutto innaturale. Quando si è tentata l’operazione, si è prodotta solo una maggiore frammentazione e ingovernabilità.
Il secondo e più grave errore, però, sarebbe quello di innovare il sistema mantenendo liste bloccate di candidati scelti da partiti, senza possibilità di esprimere una preferenza. Se non si ridarà agli elettori il potere di scegliere gli eletti, non solo si dimostrerà di non aver compreso il disagio dei cittadini, ma tutto il senso della riforma, del cambiamento rischierebbe di essere vanificato. È anzitutto su questo che si misura la reale volontà di cambiamento dei partiti: la prova del nove per valutare la differenza tra vecchi e nuovi leader.
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