domenica 19 gennaio 2014
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Neppure quando aveva detto di voler rottamare la «genera­zione del ’68» aveva osato tanto. La «profonda sintonia» con Forza Italia – peggio: con Silvio Berlusconi in persona – che Matteo Renzi ha detto ieri di aver registrato sulla riforma e­lettorale è la rottura di un tabù. Di più: è lo squarciarsi del velo nel tempio del Nazareno (inteso come largo, ovviamente). Eha provocato uno choc nella base, un senso di sbandamen­to per quel 'nemico' finalmente sconfitto, esiliato dal Parlamento e che proprio il segretario del Pd non solo ha cercato con insistenza, non si è limitato a incontrare quale lea­der della principale forza di oppo­sizione, ma ha riportato 'piena­mente' al centro della scena politi­ca. Con una «piena sintonia», ap­punto. In confronto la ferita della Bicamerale di D’Alema colpita e affondata, che ancora sanguina per i militanti ex-diessini, è una sbuc­ciatura sul ginocchio. Quelle due parole «piena sintonia», pronunciate senza esitazione da Renzi hanno fatto finire in secondo piano persino il contenuto vero del­l’intesa. Un sistema elettorale iberi­co 'corretto all’italiana' o un 'por­cellum rivisto'? Renzi non si è sbi­lanciato e – con la scusa di non vo­ler perdere il treno – ha rimandato i particolari a lunedì pomeriggio. Il fatto che non abbia scoperto subi­to le carte, restando sul generico, è da interpretare come un segno di a­pertura verso le altre forze politiche, le cosiddette 'minori' (come se qualcuno potesse prevedere chi sarà 'minore' o 'maggiore' nell’Italia di oggi e di appena domani). Come a dire: i giochi non sono chiusi. Oggi, infatti, il segretario Pd dovrebbe in­contrare anche Angelino Alfano e lo spazio per un’intesa inclusiva, più ampia di un accordo a due Pd-Fi, e­siste ancora. Non a caso il presidente del Consiglio Enrico Letta ha parla­to di «direzione giusta», di riforme costituzionali ed elettorali «tenendo insieme le forze della maggioranza e i principali partiti dell’opposizio­ne ». Si vedrà se sarà veramente pos­sibile.
Per ora sappiamo che l’ac­cordo prevede il cambio di 'desti­nazione d’uso' del Senato in Ca­mera delle autonomie e la riforma della riforma del Titolo V della Co­stituzione. Assieme a «un sistema e­lettorale che assicuri la governabi­­lità, rafforzi il bipolarismo e riduca il potere di ricatto dei piccoli parti­ti ». E qui, al di là delle alchimie par­titiche, occorrerà evitare due gran­di errori. Il primo sarebbe quello di forzare la crescita del bipartitismo, da noi del tutto innaturale. Quando si è tentata l’operazione, si è pro­dotta solo una maggiore frammen­tazione e ingovernabilità. Il secondo e più grave errore, però, sarebbe quello di innovare il siste­ma mantenendo liste bloccate di candidati scelti da partiti, senza pos­sibilità di esprimere una preferenza. Se non si ridarà agli elettori il pote­re di scegliere gli eletti, non solo si dimostrerà di non aver compreso il disagio dei cittadini, ma tutto il sen­so della riforma, del cambiamento rischierebbe di essere vanificato. È anzitutto su questo che si misura la reale volontà di cambiamento dei partiti: la prova del nove per valuta­re la differenza tra vecchi e nuovi leader.
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