mercoledì 29 gennaio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
La declinazione di “speranza” in un tempo di crisi qual è quello che viviamo è “responsabilità”. Soprattutto formazione alle responsabilità civili: non un esercizio intellettuale, ma il concreto alimentare e vivere un ethos della vita quotidiana e della vita comunitaria. Questo ethos si pone come consapevolezza concreta dell’inviolabilità dei diritti della persona umana, vigilanza contro l’assuefazione all’inganno. Da qui non può non scaturire quella “cittadinanza attiva”, che è capacità dei cittadini di auto-organizzarsi, di mobilitare risorse umane, finanziarie e di occuparsi della tutela dei diritti esercitando poteri e responsabilità allo scopo di contribuire alla cura e allo sviluppo del bene e dei beni comuni e di colmare lo scarto tra le leggi e la loro quotidiana attuazione.Una responsabilità così intesa è fondata su un radicale cambiamento di mentalità, su una conversione sia morale sia intellettuale. Un rivolgimento assolutamente indispensabile, che tocca contemporaneamente le dimensioni dell’etica e della politica, innestate nel più ampio alveo di una ricerca della verità, che appartiene a ogni uomo. «Dobbiamo tutti reagire a una visione esasperata e interessata che vorrebbe accrescere lo smarrimento generale e spingerci a non fidarci più di nessuno», afferma il cardinal Angelo Bagnasco presidente della Cei nella sua prolusione al Consiglio permanente in corso a Roma.Ecco, allora, l’esigenza di formare alla partecipazione. Siamo convinti, con i nostri vescovi, che «l’Italia non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione». Ma la riduzione del politico al tecnico e all’economico, i problemi posti dalla rivoluzione tecnologica e dagli squilibri ecologici, dai particolarismi e dalle rivendicazioni etniche, dalla crescente sperequazione nella distribuzione della ricchezza fra Paesi ricchi e Paesi poveri, provocano un senso di impotenza che porta al deperimento della vita democratica, all’indebolimento del senso civico e al rifugio nel privato proponendo con forza l’interrogativo radicale sul senso e sulle caratteristiche della partecipazione oggi. Tutti dobbiamo assumere questi interrogativi a partire dal suo stesso essere esperienza viva di partecipazione popolare in cui tangibilmente si apprende il valore inestimabile della partecipazione. Con il cardinale presidente, diciamo, «nulla deve rubarci la speranza nelle nostre forze, se le mettiamo insieme con sincerità».Chi conosce la bellezza della partecipazione, è esperto anche della fatica. Formare alle responsabilità civili significa avere il senso cristiano della storia, avere la pazienza dei tempi lunghi e la gioia della semina, significa sapere che il bene non si attua mai del tutto. La consapevolezza della parzialità del bene è l’altra faccia dell’amore vivo e vero per la propria città.Chi conosce la continua tensione esistente tra il fine ultimo della promozione piena dell’uomo, mai pienamente compiuto, e i gesti di giustizia e solidarietà che quotidianamente possono essere attuati mai completamente all’altezza di quel fine trova in questo limite non il freno, ma lo slancio ulteriore per un impegno responsabile e appassionato per la propria terra. Amare (o tornare ad amare) il nostro Paese, le nostre città i nostri territori è la sintesi dell’impegno – non episodico o residuale – che dobbiamo esprimere verso i contesti sociali e civili dentro cui siamo radicati. L’Azione Cattolica intende farlo, anzi lo fa già. Desideriamo essere e diventare, sempre più, spazio entro cui si coltiva l’interesse per la vita della città, sia attraverso i percorsi formativi ordinari di educazione della cittadinanza, sia creando luoghi di discernimento e di dialogo, per costruire e perseguire il bene comune, inteso non come la somma degli interessi individuali, ma come il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: