venerdì 22 gennaio 2010
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Tra i frammenti di orrore che ven­gono da Haiti, quello dei cento bambini sepolti sotto la scuola di Leo­gane, vicino a Port-au-Prince, occupa ancora pagine e attenzioni. A questa tragedia s’accodano notizie di altre scuole, coi morti sotto, da verificare. Non è infatti aggiornata la conta de­gli orrori, che chissà a quali scenari deve ancora metterci di fronte. Le immagini delle scuole crollate fan­no il giro del mondo, ma risuonano in modo particolare nelle aree dell’Italia centrale colpite dal terremoto. Aree che non sono solo quelle aquilane. Sono anche altre come San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobas­so, in Molise, dove nel 2002 morirono in una scuola elementare 27 bambi­ni con la loro maestra. Fino a pochi decenni fa Abruzzo e Molise costitui­vano un’unica regione: di terre in­sensibili alle diverse denominazioni date loro dall’uomo, ma molto sensi­bili allo scuotersi della medesima dor­sale appenninica, a ridosso della qua­le si trovano. San Giuliano e Leogane di Haiti sono nomi che scuotono l’anima. Che han­no il potere – per la loro intollerabilità, per la mostruosa banalità con cui il male ha colpito, per la incredibile cru­dezza d’aver ucciso tanti piccoli – di far vacillare ogni fede e deporre ai pie­di dell’Alterità una domanda, come un grido. Qualcuno ricorderà cosa sia stata, nel 2002, San Giuliano. Nel parlare delle scuole di Haiti, stranamente non era ancora stato fatto un parallelo, per cui a noi d’Abruzzo e di Molise rinverdi­re la memoria e il dolore. Morirono tutti i bimbi di questo paesino ch’e­rano andati a scuola. Morirono loro e la maestra Carmela. E nessun altro. Una strage degli innocenti, concen­trata dove si erano ritrovati con gli zai­netti, coi grembiulini, correndo in­contro ai compagni, dopo aver la­sciato, per l’ultima volta, la mano al­le mamme, ai papà, ai nonni. Corse­ro incontro alla morte sorridendo, senza voltarsi, e furono quelle le loro ultime immagini. Poco dopo, tutto dentro la scuola prese a scuotersi. Masse troppo grandi per le loro pic­cole membra – troppo mostruose per le loro testine che si alzavano verso il soffitto, troppo crudeli e maledette per i loro occhi che, spauriti, si gira­vano intorno – li oppressero per sem­pre al suolo e li uccisero. A noi che siamo morti con loro, a noi che il caso – o la tragedia, o la fatalità, o altri nomi senza senso – non ha an­cora riconsegnato all’Alterità, a noi che infinite volte li abbiamo insegui­ti, col pensiero, in quelle ultime im­magini cercando di trattenerli sull’e­strema soglia, sia consentita solo una preghiera. Che qualcuno ancora si sal­vi, innanzitutto, in un miracolo tanto più commovente perché tardivo e i­natteso: queste ultime ore ci stanno mostrando speranze vincenti sulla di­sperazione, estreme forme di com­battimento del corpo, nell’incoscien­za, per resistere a una settimana dal sisma, e a una settimana passata in quelle condizioni, come se la vita non volesse rinunciare a prevalere sulla morte. E per i tanti piccoli, che non possono più salvarsi e attendono solo di esse­re riconsegnati alle mani dei cari, u­na preghiera… retrospettiva. Che non abbiano sofferto. Che non abbiano pianto. Che non abbiano chiamato. Che non abbiano atteso. Che un son­no profondissimo li abbia avvolti su­bito, in quegli ultimi istanti dove ogni realtà regredisce e ogni presenza, che li accompagni in una fine veloce, di­venta possibile. Valga per loro la preghiera degli anti­chi: vi sia lieve la terra. Mai preghiera fu più intonata alla morte per terre­moto. Così pregammo per i bimbi di san Giuliano, così preghiamo per i bimbi di Haiti: ali d’angeli vi salvino quando nessuno lo spera più. Oppu­re vi abbiano avvolti in un istante e sollevati e riconsegnati a quel mondo dove nulla più vi sottrae alle madri, ai padri, ai nonni, ai compagni di giochi e nulla spegne il vostro sorriso.
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