sabato 24 settembre 2016
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​Abbiamo fatto leggermente peggio ma stavamo leggermente meglio. Detto in altri termini, è come se un dottore comunicasse a un paziente «l’anno scorso le cose non sono migliorate come pensavamo ma sappi che in realtà stavi già un po’ meglio due anni fa». Restiamo un po’ perplessi ma è questo il senso dei dati odierni dell’Istat che lima leggermente al ribasso i dati di crescita dello scorso anno (2015) ma revisiona al rialzo i dati del 2014. Il risultato "simbolico" è che saremmo usciti dalla recessione non solo dal 2015 (primo anno di crescita zero virgola) ma già dall’anno prima.Le cose non cambiano certo clamorosamente, e però l’alternanza di previsioni, revisioni delle stime e revisioni dei dati ufficiali (per non parlare del ping pong tra i dati Istat e Inps sul lavoro) confermano lo stordimento a cui da un po’ di tempo l’opinione pubblica è sottoposta in materia di informazione sul fronte economico. Così è se vi pare. Nella famosa novella di Pirandello la stessa realtà cambiava radicalmente se osservata dal diverso punto di vista dei protagonisti. Più in profondità c’è anche da farci una domanda su quanto spasmodicamente attendiamo (come opinione pubblica) e facciamo leva (come forze politiche) sulle variazioni di qualche decimale al rialzo o al ribasso dei dati sulla crescita, su quanto della nostra felicità presente e attesa riponiamo in essi e quanto invece spesso la percezione dello stato di benessere della gente comune sia poi di fatto distante dai dati comunicati. Fino al caso estremo delle recenti elezioni irlandesi dove un governo si presenta alla competizione elettorale con un roboante tasso di crescita del 6,2% e le perde perché di quella "crescita sulla carta" metà dipende da elusione fiscale e il resto non arriva ad apportare benefici in termini di lavoro, reddito e accesso ai servizi pubblici essenziali per la gran parte della popolazione. Proviamo a fissare alcuni punti fermi per evitare d’ora in poi che i cittadini (e i politici) si perdano in questa giungla. Primo, non possiamo semplicemente e romanticamente decrescere perché è ciò che facciamo da un po’ (almeno fino al 2014, anzi alla fine del 2013 pare) e non è che questo ci abbia aiutato a rendere il nostro debito sostenibile o a creare occupazione. Secondo, se la creazione di valore economico è necessaria essa deve essere necessariamente abbinata alla responsabilità ambientale per essere ecologicamente sostenibile. L’economia deve diventare circolare riusando gli scarti di produzione come input dei nuovi prodotti e importanza prioritaria va data a "rivoluzioni verdi" come quella dell’efficientamento energetico degli edifici urbani per coniugare creazione di valore e sostenibilità ambientale.Gli incentivi pubblici devono dunque sapientemente usare risorse scarse per stimolare investimenti in questa direzione con iniziative opportune come quella sugli ecobonus e sul superammortamento che ha recentemente preso il nostro governo. Con un mix di divieti, incentivi/disincentivi a saldo zero e stimolo alle virtù civiche dei cittadini. Terzo, la nostra storia, cultura e tradizione ci "condanna" a una vocazione tutto sommato niente male. Siamo conosciuti nel mondo come il Paese della qualità del vivere (dal cibo, ai vestiti, alla coesione delle comunità locali) e abbiamo in eredità un tesoro di fattori competitivi non delocalizzabili (cultura, storia, tradizioni legate al territorio) su cui possiamo costruire gran parte del nostro futuro economico. Incorporando storia, cultura e bellezza – per la quale il mondo ci riconosce un gusto speciale – dentro i prodotti del futuro. Quarto, Irlanda docet, il governo non si faccia fuorviare dall’uso degli occhiali sbagliati. La crescita di qualche decimale del Pil non basterà a garantire serenità ai cittadini e futuro politico all’esecutivo se non imparerà a misurare e valutare l’impatto delle proprie politiche sui veri indicatori di benessere del Paese: una buona occupazione, la ricchezza di senso di vita che dipende dal benessere spirituale e della vita di relazioni, la loro salute, la bellezza/il degrado e la sicurezza dei loro territori. Invece di inseguire le rettifiche minimaliste degli istituti di statistica (che fanno il loro lavoro) continuiamo a lavorare a questo vasto e affascinante progetto di rinascimento italiano. La legge recentemente approvata che ci chiede di misurare l’impatto del prossimo documento di economia e finanza sulla base degli indicatori del Bes (benessere equo e sostenibile) è un impegnativo banco di prova che ci indica la strada giusta da percorrere.
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