venerdì 16 novembre 2012
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Un preoccupante tuffo nel passato. Due giorni fa, di ritorno da un sopralluogo tra Tevere in piena e scontri di piazza, vedo proprio sotto la redazione romana di Avvenire, accanto a un cestino dei rifiuti, un casco da motociclista. Mi avvicino. Noto due buste di plastica. Con attenzione le apro. Sono piene di petardi, fumogeni, altri ordigni e fionde. Evidentemente lasciati lì da qualche manifestante.
Mi attraversa un brivido. Nello stesso punto, 35 anni fa, nel corso di un corteo, vidi dei giovani tirare fuori da un cestino dei rifiuti bottiglie, molotov e pistole. Pronte all’uso. Nascoste per evitare i controlli delle Forze dell’ordine. Era il 1977, anno terribile con ripetuti 'sabati di guerriglia' a Roma. Allora ero anche io in piazza, come ricordo ai poliziotti che chiamo per portare via le buste (molto pericolose, soprattutto in una zona così frequentata...). 'Cane sciolto', si diceva allora, più curioso che parte attiva. E ricordo tutto. Un ricordo che oggi, nelle vie di Roma, sembra un inquietante flashback . Salgo in redazione e sul computer faccio scorrere le immagini degli scontri, presenti su molti siti.
E un nuovo brivido mi attraversa. Lungotevere, via Giulia, ponte Garibaldi, Porta Portese. Come 35 anni fa. Sui lungotevere scorrevano i «cortei autodifesi» come allora venivano definite le manifestazioni più volente. In via Giulia, in un cupo sabato del 1977, decine di manifestanti organizzati diedero l’assalto all’armeria, che ancora oggi si trova all’inizio della strada, portando via pistole e fucili. Su ponte Garibaldi un proiettile, del quale è ancora ignota la paternità, uccise la giovane studentessa Giorgiana Masi nel corso di una manifestazione. A Porta Portese, sempre in occasione di un corteo, venne attaccata a colpi di arma da fuoco un’auto di vigili urbani.
Certo oggi gli scontri sono più 'fisici': spranghe e manganelli, caschi e scudi. Corpo a corpo. Allora si sparava, le manifestazioni erano la palestra per fare il salto nella lotta armata e, spesso, tra i manifestanti si infiltravano gruppi che questa scelta tragica l’avevano già fatta. E tanti altri giovani li sostenevano. Una violenza 'accettata'. Anche oggi? Sicuramente non coi numeri di allora. Ma la tensione, altrettanto sicuramente, sta salendo. Ogni occasione sta tornando a essere buona per trasformare la protesta, giusta o sbagliata, in violenza.
Trentacinque anni fa tanti, troppi, giovani pensarono che questa fosse l’unica via percorribile. Una parte di quella generazione, la mia generazione, buttò via così energie e potenzialità. Per scelte personali, ma anche per incapacità delle istituzioni, delle forze politiche, di tentare un dialogo. Ricordo un intervento di Aldo Moro a un Consiglio nazionale della Dc nel quale invitava all’«ascolto dei giovani», anche quelli che protestavano, proprio per evitare un loro pericoloso isolamento. E quella, per lo statista democristiano, era comunque una stagione di cambiamento. Da non respingere, da non sprecare. Cambiamento che, purtroppo, appena un anno dopo – col suo rapimento e la sua morte – venne irrimediabilmente bloccata. E si imboccò il periodo più buio degli anni di piombo.
Oggi non è come allora, per fortuna. Anche l’eversione più violenta non raggiunge certi livelli. E le ideologie che supportavano l’odio politico in armi sono morte e sepolte. Ma le tensioni sociali, le delusioni dei giovani, i sacrifici percepiti a senso unico, potrebbero gettare benzina sul fuoco. E più di qualche segnale ci fa preoccupare. Servono nervi saldi. Anche tra le benemerite Forze dell’ordine. Evitando qualche manganellata di troppo (e mercoledì, purtroppo, ce ne sono state...) che facilmente diventa un alibi per alzare l’asticella degli scontri. Serve chiarezza, ma anche ascolto, ma anche dialogo. Parole e fatti. Anzi più fatti che parole. Per ridare speranza concreta ai nostri ragazzi. Per non dare spazio a chi propone ai giovani facili e violente scorciatoie. Per far sì che quei flashback non diventino ancor più concreti. Per non dover ritrovare, accanto a quel cestino nel cuore di Roma, nuovamente il peggio.
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