mercoledì 5 giugno 2019
In gioco il destino di 15 milioni di persone che abitano «ai confini» delle città
Non solo proteste, ma un impegno per il "rammendo" e la riqualificazione dei territori con sindaci e società civile Il ruolo-chiave delle università

Non solo proteste, ma un impegno per il "rammendo" e la riqualificazione dei territori con sindaci e società civile Il ruolo-chiave delle università

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Divenute terreno di caccia privilegiato per la politica, le periferie italiane restano innanzitutto uno straordinario termometro sociale del Paese. Perché rappresentano la memoria storica delle comunità, perché anticipano i fenomeni di mutamento sociale, perché custodiscono al proprio interno i segni di futuro. Così, se l’analisi dei flussi elettorali si limita a certificare quale forza partitica riesce meglio a cavalcarne il sentimento politico e al limite a soffiare sul fuoco del malcontento popolare in un dato momento, è evidente che bisogna allargare la prospettiva storica e sociale per capire quali sommovimenti profondi si stanno verificando. Occorre ragionare dunque in un orizzonte almeno di decenni, non certo di decimali di punto raccolti o persi nell’urna.

Secondo le stime Eurostat, l’83% della popolazione delle aree metropolitane europee vive in periferia; nelle grandi città italiane ci sono 15 milioni di persone che abitano in 'aree di confine'. Dentro a questa grande questione sociale si gioca dunque la vita concreta di una moltitudine di persone, che chiede risposte a chi è rimasto nei presìdi storici dei territori dimenticati: scuole, parrocchie, associazioni, realtà sportive e culturali. È il lavoro di mediazione preziosissimo svolto in questi contesti ad aver impedito rivolte sociali fomentate ad arte, che purtroppo sono accadute e accadranno, come hanno dimostrato i casi recenti di Torre Maura e Casal Bruciato a Roma. Proprio quelle vicende hanno svelato il rischio che si corre quando si affronta il tema della marginalità sociale in zone dimenticate: è il 'rischio vetrina', che trasforma il problema in emergenza, il quartiere in palcoscenico, la politica in spot promozionale, garantendo la ribalta a estremismi di ogni genere, peraltro poco rappresentativi del senso comune.

Ma è davvero questa oggi la realtà delle periferie? No. L’odio che imperversa sui social e in qualche titolo di telegiornale è in verità l’esatto contrario di quel lavoro silenzioso e operoso di tanti, che spesso non fa notizia. È quell’operazione di raccordo, meglio ancora di 'rammendo', che il meglio della cultura laica e della cultura cristiana, insieme a tanti sindaci, stanno portando avanti da anni. Attraverso la ricerca, lo studio, l’analisi dei fatti e la presentazione di proposte di rinascita. Se il cardinale Gualtiero Bassetti non si stanca di ripetere, dall’inizio del suo mandato come presidente della Cei, che occorre «ricostruire, ricucire e pacificare» la società italiana, molti primi cittadini e tante realtà del Terzo settore si muovono, a prescindere spesso dai fondi messi a disposizione, per ridisegnare spazi di cittadinanza: si- gnifica rimettere in piedi una scuola, garantire vera sicurezza con i controlli di vicinato, aprire spazi a start up e piccole imprese, restaurare un cinema cittadino, ridare vita a laboratori sociali e a percorsi didattici per giovani e bambini. Sono alcuni tra gli esempi seguiti da Nord a Sud, in questi anni, in modo virtuoso. Contemporaneamente, e questa è una novità, anche il mondo accademico sta mettendo a punto strumenti ad hoc per riflettere sulle periferie. All’Università Cattolica di Milano un network di ricercatori, a partire da un’analisi storica, sta realizzando una base socio-statistica sulle aree periferiche delle città italiane. Nel frattempo, sta dando i primi risultati anche il G124, il gruppo di lavoro creato dal senatore a vita Renzo Piano con il coinvolgimento del Politecnico di Milano, della Sapienza di Roma, dell’Università di Padova e del Sds di Siracusa. Architetti, ingegneri, sociologi e psicologi stanno provando a immaginare il futuro di aree simbolo come Marghera in Veneto, il Giambellino a Milano, la Scuola modello dell’ex Mattatoio di Sora, nel Frusinate.

Diverso è l’approccio che verrà lanciato nel fine settimana in Cattolica, dove la questione sociale delle periferie urbane verrà riletta in particolare alla luce dell’affermarsi della società industriale nel secolo scorso e dei successivi processi di deindustrializzazione che hanno interessato recentemente le metropoli. «Nell’esperienza storica dell’Occidente europeo – ragiona Aldo Carera, ordinario di Storia economica presso l’ateneo di Largo Gemelli, nonché diretto- re dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia 'Mario Romani' – la città è diventata un grande polo di attrazione in virtù della sua capacità di offrire opportunità di miglioramento nella scala sociale. Oggi, sempre di più, le periferie cittadine affrontano ciclicamente nuovi fenomeni, dall’arrivo di rilevanti flussi migratori alle difficoltà di accesso al mondo del lavoro. È per questo che devono così fare i conti con processi di degrado, anche perché in esse troppo spesso si concentrano gli sconfitti dei processi di globalizzazione in atto, quanti godono solo in parte dei benefici delle grandi trasformazioni, o quanti vi si trasferiscono alla ricerca di condizioni di vita migliori».

L’eterno conflitto dell’ultimo decennio tra vincitori e vinti, determinato dall’esito della Grande Crisi, resta dunque una linea di frattura su cui misurare la distanza non tanto tra le vituperate élite e l’osannato popolo (almeno secondo una certa narrazione della politica) quanto tra una folla vociante di individui in cerca d’autore e l’idea di una comunità che sappia camminare insieme, sia pur con differenti velocità. Non è qualcosa che si concretizzi in poco tempo, perché si tratta di un percorso che richiede progettualità da parte delle amministrazioni, creatività e conoscenza della realtà da parte di professionisti e Terzo settore, disponibilità all’ascolto e al coinvolgimento da chi da sempre vive il territorio. «I l ridimensionamento del sistema di welfare – continua Carera – ha inciso profondamente sulla geografia delle diseguaglianze riportando in primo piano la connessione tra disagio sociale e periferia. Prendendo a prestito un insegnamento di papa Francesco le periferie urbane contemporanee sono uno degli 'scarti' del sistema economico-sociale». Fondamentale ancora una volta sarà infine il ruolo dello Stato, chiamato in tutte le sue forme a garantire investimenti e prossimità, trasformando luoghi di marginalità e conflittualità in componenti significative della futura metamorfosi urbana e metropolitana.

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