Perché non si deve giocare coi decimali
domenica 7 ottobre 2018

La lettera formale sul deficit con cui la Commissione di Bruxelles fa presente al nostro Governo di essere fuori linea rispetto alle regole della Ue è arrivata per fortuna a mercati chiusi. Durante questo weekend è il caso di riflettere a bocce ferme sul perché con questa manovra finanziaria il governo sta navigando pericolosamente vicino agli scogli. Ovvero sta mettendo il Paese in una situazione di grave rischio. Lo scoglio più pericoloso per la nostra navigazione in realtà non è lo spread e neppure il parere della Commissione Ue, quanto il giudizio delle società di rating. Lo spread infatti è un meccanismo col quale istantaneamente i mercati valutano la fiducia nel debito del Paese. Il vantaggio è che il segnale dello spread arriva subito, si può porre rimedio e, se lo si fa, lo spread scende. È quello che è successo in questi giorni con gli alti e bassi della Manovra 2019. L’esecutivo aveva temerariamente annunciato di voler abbattere l’argine dell’1,6% di deficit (e quello di compromesso, a cui sembrava tendere, dell’1,9%) per annunciare un deficit più elevato (2,4%) addirittura per tre anni. Come abbiamo sottolineato in anticipo su queste colonne, con quel numero l’obiettivo di ridurre gradualmente il rapporto debito/Pil, simbolico ma cruciale per mantenere la fiducia di chi ci finanzia in Italia e all’estero, era seriamente a rischio.

La fiducia dei “mercati” (i milioni di risparmiatori in Italia e nel mondo che comprano e vendono titoli di Stato italiani) è calata infatti pericolosamente subito dopo costringendo il Governo a fare (parziale) marcia indietro per evitare guai peggiori promettendo che dal 2,4% di quest’anno si scenderà al 2,1% il prossimo e all’1,8% nell’anno successivo. Ma questo non è bastato. Sebbene il Governo Conte-Di Maio-Salvini ci tenga ad alimentare un confronto aspro con l’Europa non è neanche questo il maggiore dei problemi. Con la Ue si negozia e su un punto il governo ha ragione. La definizione di deficit strutturale fondata su meccanismi complessi quanto opinabili come il Pil potenziale e il tasso di disoccupazione che non alimenta spirali inflazionistiche è alquanto discutibile e metodologicamente superata. Andrebbe utilmente riformata lasciando più respiro ai Paesi e limitando le regole all’essenziale, ovvero un trend di riduzione del rapporto debito/Pil. Le insidie maggiori, dicevamo, arrivano dal giudizio delle società di rating. In letteratura economica si sono scritti molti condivisibili lavori scientifici per spiegarne i limiti. Resta il fatto che in questo frangente con l’Italia le società di rating sono state piuttosto indulgenti e, nonostante i livelli di spread giustificassero un declassamento nel confronto con la situazione di altri Paesi debitori, hanno deciso di sospendere il giudizio fino alla presentazione del Def. Possiamo pensare di loro peste e corna, ma sta il fatto che due gradini sotto il rating attuale finiremmo su un livello che impedirebbe a molte istituzioni di tenere i nostri titoli nel loro portafoglio. Già con un gradino inferiore le stesse istituzioni temendo una futura bocciatura potrebbero iniziare ad abbandonare i titoli del debito pubblico italiano, considerandoli troppo rischiosi. Il rischio di una bocciatura non è un capriccio dei giudici ma dipende da un fatto preciso.

Quell'ipotesi sulla crescita nel prossimo anno dell’1,6% lontana dalle previsioni dell’1% di quasi tutti gli istituti accreditati sembra costruita ad hoc per far tornare il fatto che anche l’anno prossimo, seppur di poco, il rapporto debito/Pil scenderà. Il problema di questo scoglio maggiore è che, a differenza di quello dei mercati con lo spread, il giudizio delle società di rating non è istantaneamente revocabile se la situazione cambia e il governo corregge la manovra. Le società di rating effettuano i loro giudizi a intervalli distanti nel tempo e la prossima occasione per recuperare arriverebbe molto dopo lasciando l’Italia per molto tempo in una situazione difficilissima. E questo probabilmente spiega la preoccupazione del presidente della Bce Draghi che è venuto a Roma per incontrare di persona il presidente della Repubblica Mattarella. Chi ha dimestichezza con i fumetti di Asterix ricorderà che il timore ricorrente e insistente del capo del villaggio è che gli dei facciano cadere il cielo sulla testa dei suoi abitanti. Nelle moderne economie di mercato, e soprattutto nel nostro Paese fortemente indebitato, siamo un po’ nella stessa situazione. La prima preoccupazione è che non si alzi troppo lo spread e non ci cada sulla testa il cielo dei mercati finanziari trasformandoci in una “repubblica delle banane”.

Non si tratta però qualcosa di imprevedibile e di ineluttabile come nel caso del noto fumetto. Dipende da noi ridurre questo rischio e questa dipendenza. E c’è una sola via per farlo, tenere una navigazione che non si avvicini troppo agli scogli, ovvero, fuor di metafora, mantenere buona la nostra reputazione (e la fiducia nei titoli pubblici) attraverso un percorso di graduale riduzione del rapporto debito/Pil (che non vuol dire pareggio di bilancio). In questa debole ripresa dell’economia europea tutti i Paesi della Ue meno uno, il nostro, secondo ricette ognuna originale e diversa stanno centrando l’obiettivo con i loro piani presenti e futuri senza strangolare le loro stesse economie, anzi assicurando tassi di crescita migliori dei nostri. Per questo chiediamo – anzi pretendiamo – al nostro Governo di saper fare altrettanto.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI