giovedì 7 aprile 2016
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Anche se manca ancora l’ultima deliberazione della Camera per concludere l’iter parlamentare della riforma costituzionale Renzi-Boschi e se il referendum confermativo su di essa avverrà solo in autunno, la partita referendaria è ormai iniziata. Purtroppo gli oppositori della riforma (i fautori del No) l’hanno per ora impostata più sul piano del metodo, che su quello del contenuto. Essi sostengono che la riforma andrebbe rigettata per due motivi: per il ruolo propulsivo svolto dal Governo nell’approvazione della riforma costituzionale (presentazione del disegno di legge, disciplina della maggioranza a suo sostegno), che avrebbe determinato una torsione maggioritaria della riforma, a loro avviso incompatibile con lo 'spirito costituente' necessario per modificare la Carta costituzionale; e per il nesso fra la riforma costituzionale e la nuova legge elettorale, il cosiddetto Italicum, approvato lo scorso anno e non oggetto del referendum confermativo. Il primo argomento – il deficit democratico della riforma, causato dalla leadership del governo nella sua gestazione – non è persuasivo. Anzitutto non lo è ai sensi della Costituzione del 1947 (a difesa della quale lo si invoca), che non esclude il governo dai titolari dell’iniziativa per la revisione costituzionale e prevede che il relativo iter formativo si innesti su quello relativo alla formazione della legge ordinaria. Ciò che è essenziale è che la riforma sia sostenuta dalle maggioranze richieste dall’art. 138, culminanti, eventualmente, nella deliberazione referendaria: le deliberazioni parlamentari sulla riforma (in questo caso saranno state ben sei, alla fine) sono garanzia del rispetto del principio della democrazia rappresentativa, mentre il referendum aggiungerà a questa legittimazione quella del corpo elettorale. Richiedere qualcosa di più di quanto chiede l’art. 138 vuol dire slittare verso concezioni unanimistiche della democrazia, che non sono applicate in nessun Paese civile (la democrazia è il governo della maggioranza e anche la riforma della Costituzione è il prodotto di questa, sia pure nelle forme di una decisione politica rinforzata da una maggioranza qualificata o dal sostegno del corpo elettorale). Ciò che si deve chiedere al governo in carica in un dato momento è di aver cercato un consenso al di là della maggioranza parlamentare, così come all’opposizione si deve chiedere un atteggiamento dialogante, specie quando una riforma costituzionale, nella sua essenza (il superamento del bicameralismo paritario), ben lungi da essere una levata d’ingegno o un colpo di mano del governo pro tempore, è la concretizzazione di un percorso impostato da vari decenni, ed è stata a lungo ritenuta consensuale fra le principali forze politiche.Non convince neppure la seconda questione di metodo, quella secondo cui il No alla riforma costituzionale sarebbe imposto, più che dal contenuto di questa, dal suo legame con la riforma elettorale, che pure non sarà oggetto del referendum confermativo. Certo, il nesso tra le due riforme è indubbio, sia in quanto il governo ha voluto entrambe le riforme, sia perché la riforma elettorale necessita dell’approvazione di quella costituzionale per poter funzionare secondo la logica maggioritaria cui è ispirata. E l’Italicum è una legge elettorale per più aspetti discutibile. Anche se l’argomento secondo il quale sarebbe una legge antidemocratica è a sua volta una forzatura, alcune sue componenti (il 'vincitore a ogni costo'; il sistema di preferenze limitate; le candidature multiple; una distribuzione sui seggi su scala nazionale che rischia di produrre ricadute casuali nei collegi, ecc.) e la loro combinazione sollevano legittime perplessità. Tuttavia l’interpretazione del voto referendario come un voto riguardante non solo la riforma costituzionale, ma anche quella elettorale rischia di produrre un effetto paradossale in caso di vittoria dei No: che la riforma costituzionale non entrerà in vigore, ma la riforma elettorale (già approvata) resterà legge dello Stato e verosimilmente si applicherà nelle elezioni anticipate che seguiranno una eventuale vittoria del No nel referendum.Al tempo stesso, va ricordato che la riforma costituzionale prevede un giudizio preventivo di legittimità costituzionale sulla legge elettorale e che, in ogni caso, una questione di costituzionalità in materia è già stata sollevata dal Tribunale di Messina. Ne segue che l’eventuale superamento – magari parziale – dell’Italicum potrebbe arrivare per la via del giudizio di costituzionalità o potrebbe essere oggetto di un referendum abrogativo che i cittadini potrebbero proporre ai sensi dell’art. 75 della Costituzione. In ogni caso, si dovrebbe guardare alla riforma costituzionale su cui si terrà il referendum non come un evento isolato (la 'grande Riforma', quasi come se fosse una nuova Costituzione), ma come un processo storico di durata ormai trentennale: dalla Commissione Bozzi (1983) in poi la riforma del bicameralismo costituisce un’esigenza acquisita. Si tratta di una riforma essenziale per razionalizzare il governo parlamentare statale, connettendolo organicamente con il sistema delle autonomie e sviluppando l’art. 5 della Costituzione, là ove esso impone di adeguare i criteri e i metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento, finalità per la quale occorre dare alle autonomie una voce nel procedimento legislativo nazionale. Si discuta, dunque, del merito. E non si faccia torto alla nobile Carta del 1947 imbalsamandola, e contribuendo a renderla superata dalle esigenze del nostro tempo.
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