giovedì 20 luglio 2023
L’esperienza spagnola di «iMisión», movimento ecclesiale online fondato da una religiosa, ha dato l’avvio a una profonda riflessione sull’evangelizzazione attraverso i social media
La pandemia ha aperto nuovi percorsi nel rapporto tra la fede e il mondo digitale, offrendo opportunità ma ponendo anche problematiche inedite

La pandemia ha aperto nuovi percorsi nel rapporto tra la fede e il mondo digitale, offrendo opportunità ma ponendo anche problematiche inedite - .

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La prima volta che mi sono occupato di “missione” nell’ambiente digitale è stato nel 2008: anche se i social network si trovavano appena agli albori e il dibattito in Rete si svolgeva sui blog e sulle chat, erano già visibili – anche da parte di soggetti di dichiarata ispirazione cristiana – manifestazioni di violenza verbale che, di lì a poco, avrebbero seriamente impegnato gli analisti della Rete.

Così, in un racconto di fantasia poi confluito nel libro Un cristiano piccolo piccolo (Edb, Bologna 2010), immaginai che una giovane suora si desse il compito (la “missione”, appunto) di frequentare la blogosfera ecclesiale per portare pace nelle contese tra opposte fazioni, ricordando ai litiganti online che segni distintivi dei cristiani nel mondo sono la mitezza e l’amore reciproco, e che il mondo digitale non fa eccezione. Il racconto fu apprezzato da un giornalista religioso di chiara fama come Luigi Accattoli, che da qualche anno era emigrato nel digitale con un blog personale e stava sperimentando egli stesso le speranze e le angosce della libertà di parola e dell’orizzontalità delle relazioni che lo caratterizzano; e alcuni anni dopo finì nella prefazione a un volumetto, a cura di G. Tridente e B. Mastroianni, che raccoglieva sotto il titolo, appunto, di La missione digitale (Edusc, Roma 2016) alcuni contributi su «comunicazione della Chiesa e social media » resi durante il periodico Seminario professionale sugli uffici di comunicazione della Chiesa organizzato dalla Pontificia Università della Santa Croce.

Frattanto la realtà, come spesso accade nell’ambiente digitale, aveva superato la fantasia: nel 2012 suor Xyskia Valladares, all’epoca quarantatreenne, religiosa della Purezza di Maria santissima, di origine nicaraguense ma residente in Spagna, aveva fondato, insieme a Daniel Pajuelo, “iMisión”, una sorta di movimento ecclesiale digitale i cui membri, «cattolici di vari movimenti, comunità, famiglie religiose… di tutti gli stati di vita», condividono, dichiara il sito, «la stessa inquietudine e la stessa vocazione: evangelizzare in Internet». Come si vede, nell’idea di suor Valladares, divenuta popolare come «la suora twittatrice », la missione digitale non si limita alla sedazione dei “bollenti spiriti” cattolici in Rete, ma guarda in generale all’evangelizzazione tramite i social network. Allo scopo, iMisión organizza corsi online ed eventi annuali “in presenza” e “a distanza”, chiamati “iJornada” e gratificati, nel 2019, da un videomessaggio in cui papa Francesco riconosce i partecipanti come «missionari digitali».

Dieci anni dopo, nell’estate 2022, è direttamente la Santa Sede (Segreteria generale del Sinodo e Dicastero per la comunicazione) a puntare sull’esistenza dei «missionari digitali» per allargare la consultazione preparatoria del Sinodo 20212024 «per una Chiesa sinodale» a soggetti (indicativamente: “giovani” e “lontani”) diversamente non coinvolti dalle modalità territoriali (diocesi, parrocchie) sino ad allora messe in campo. L’iniziativa si chiama “La Chiesa ti ascolta” e consiste nel chiedere a cristiani attivi e popolari nell’ambiente digitale di condividere con i loro follower un questionario in tema di fede cristiana e Chiesa. Vi è coinvolta direttamente la stessa iMisión di suor Valladares (che a luglio 2023 papa Francesco ha poi nominato membro del Sinodo, con diritto di voto), ma la rete di 244 grandi e piccoli influencer che si mette all’opera è ben più vasta, giacché copre 7 lingue e 115 paesi; essa si identifica con l’iniziativa al punto da avanzare, nella sintesi dei risultati, l’istanza che quello di “missionario digitale” sia riconosciuto come un ministero.

La Santa Sede sembra tutt’altro che indifferente a questa possibilità, come testimoniano due recenti episodi: alla presentazione, in Sala stampa vaticana, delle conclusioni della tappa continentale del Sinodo 2021-2024, il 20 aprile scorso, c’è anche mons. Lucio Adrián Ruiz, segretario del Dicastero per la comunicazione, che concentra il suo intervento su ciò che definisce “Sinodo digitale”, precisando che «è lo stesso Sinodo della Chiesa, con lo stesso obiettivo, con la stessa metodologia del resto della Chiesa, ma svolto negli “spazi digitali” », e che è stato realizzato finora «dal popolo di Dio stesso presente nelle reti», dai «missionari digitali» e dagli «evangelizzatori ». Poco più di un mese dopo, il 29 maggio, nella stessa Sala stampa si illustra Verso una piena presenza, ampia riflessione pastorale del Dicastero per la comunicazione «sul coinvolgimento con i social media», e al tavolo c’è anche la sottosegretaria della Segreteria generale del Sinodo suor Nathalie Becquart, che non evoca esplicitamente la missione digitale ma va persino oltre, affermando che la «cultura digitale “chiama” la sinodalità».

E infatti nell’Instrumentum laboris della prima sessione dell’Assemblea sinodale del prossimo ottobre, che la Segreteria generale del Sinodo ha diffuso il 20 giugno, ritorna cinque volte l’espressione «Sinodo digitale» e in altri tre luoghi (al n. 60 e nella Scheda B2, intitolata «Corresponsabili nella missione), si parla dell’«ambiente digitale, che la Chiesa sta scoprendo come luogo di evangelizzazione», e si chiede: «Come può la Chiesa svolgere più efficacemente la sua missione» all’interno dell’ambiente digitale, dal momento che esso «ormai modella la vita della società »? «Come vanno riconfigurati l’annuncio, l’accompagnamento e la cura in questo ambiente?». E ancora: «Come offrire un adeguato riconoscimento all’impegno missionario al suo interno e percorsi adeguati di formazione per chi lo compie?». Abbastanza evidente l’allusione alla missione digitale come a un “ministero”. “Ministero” che potrebbe caratterizzarsi al femminile: lo dico sia pensando alle tante religiose che si fanno già apprezzare in Rete e segnatamente sui social media per l’ampio spettro di modelli di riflessione biblica, di spiritualità e di prossimità digitale che sanno proporre, sia ricordando che l’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) ha organizzato nel primo semestre del 2023, con la collaborazione dell’onnipresente iMisión, il corso online “Evangelizzazione sui social”, nel quale si è riflettuto «sull’importanza di come comunicare il messaggio evangelico attraverso le nuove piattaforme» e sono state fornite «tecniche professionali per farlo in modo efficace».

Frattanto, nell’ennesima distopia prodotta dall’industria dell’intrattenimento popolare – una serie tv per ora distribuita sulla piattaforma statunitense Peacock, di cui hanno già parlato in Italia i siti specializzati come “Wired” e “SerialMinds” – la protagonista è una suora. Si chiama Simone e combatte Mrs. Davis, app di intelligenza artificiale che diventa guida riconosciuta di tutta l’umanità ma suscita anche forme di resistenza. Per sconfiggere l’app Mrs. Davis, suor Simone parte alla ricerca del Sacro Graal...


IN COLLABORAZIONE CON IL Dicastero per la Comunicazione

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