giovedì 13 ottobre 2016
Una pratica data per scontata adesso è diventata un problema. Ma se la lezione in classe è fondamentale, serve anche il tempo per assimilare le informazioni. (Roberto Carnero) 
Scuola, la strana guerra dei compiti per casa
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I compiti scolastici sembrano essere diventati una questione di Stato. Tant’è che anche su queste colonne se ne è dibattuto a più riprese. Una cosa che si è sempre data per scontata – il fatto cioè che gli insegnanti diano dei lavori da svolgere a casa – oggi è diventata una realtà problematica, al punto da spingere nei giorni scorsi lo stesso ministro dell’Istruzione Stefania Giannini a intervenire per placare gli animi, assicurando che con la messa in pratica delle disposizioni contenute nella legge sulla "buona scuola" il problema dovrebbe risolversi. Ma qual è il problema? Da una parte gli insegnanti che assegnano, come hanno sempre fatto, i compiti per casa; dall’altra i genitori che sopportano sempre meno questa prassi. Il tema dei compiti per casa viene oggi vissuto come un affare di famiglia. Significativo in tal senso il titolo di un articolo sulla Stampa del 7 ottobre: «Se il papà non riesce a fare i compiti della figlia». Alla ripresa delle scuole aveva destato scalpore il padre di un ragazzo che aveva condiviso sui social una lettera indirizzata ai docenti del figlio, alunno in una scuola media, in cui spiegava perché aveva deciso di non fargli svolgere i compiti per le vacanze. L’uomo affermava di aver voluto sfruttare l’estate per insegnare al figlio «a vivere», facendo con lui diverse cose: «Lunghe gite in bici, vita di campeggio, gestione della casa e della cucina». Tutto – insomma – tranne i compiti estivi, come se questi ultimi potessero ostacolare una vita piena, come se le attività scolastiche impedissero di coltivare adeguatamente il rapporto tra genitori e figli. Le proteste del resto non sono soltanto nostrane: dopo un’analoga mobilitazione che aveva avuto luogo in Francia nel 2012, ora anche in Spagna si moltiplicano i genitori che scrivono sul diario dei loro ragazzi frasi come questa: «Mio figlio non ha svolto i compiti per una decisione familiare».  E sempre in Spagna è stato addirittura indetto per il prossimo novembre, da parte della più grande associazione dei genitori degli alunni delle scuole statali, un boicottaggio ufficiale dei compiti per casa. Il fenomeno indica un’inedita alleanza tra gli alunni e i genitori contro gli insegnanti. Anche se a problematizzare la questione sembrano più gli adulti che i minori: questi ultimi non si sognerebbero mai di mettere in discussione quanto la scuola chiede loro di fare, se non fossero spalleggiati da mamma e papà. Mi sembra che la querelle denunci due grossi problemi. Innanzitutto è un’ulteriore prova di come l’alleanza educativa tra scuola e famiglia sia sempre più fragile: tante famiglie non riconoscono all’istituzione scolastica la necessaria autorevolezza. È un po’ – per intenderci – come se il paziente di fronte al medico che stabilisce una terapia gli dicesse: «No, grazie, questi farmaci non intendo prenderli».  Liberissimo di farlo, certo, ma poi se la patologia peggiora non si può incolpare il medico (mentre oggi è purtroppo frequente che se un ragazzo viene bocciato, i genitori se la prendano prima di tutto con i docenti che hanno deciso in tal senso). C’è poi però un altro aspetto: il rifiuto dei compiti per casa è il sintomo di una concezione dell’apprendimento come gioco o intrattenimento, da cui siano escluse il lavoro e la fatica. Eppure tutti sappiamo che certe cose non si possono imparare se non al prezzo di uno sforzo. Siamo tutti d’accordo che vanno evitati gli eccessi, e sarebbe bene che i docenti di una classe si confrontassero tra loro per distribuire in maniera razionale il carico del lavoro per casa. Ma eliminarlo del tutto significherebbe impoverire la qualità dell’offerta formativa. Se è vero che la lezione è la fase centrale della didattica, è altrettanto vero che serve un tempo di assimilazione, senza il quale ciò che si è appreso non potrebbe sedimentare. Inoltre nella scuola delle competenze non basta 'ascoltare', ma serve 'fare', vale a dire sperimentare le proprie conoscenze, applicandole alle situazioni concrete. E poi i compiti per casa hanno anche un altro fine: quello di abituare il bambino e il ragazzo a una certa autonomia organizzativa. Per questo va bene che ci possa essere un confronto con i familiari durante lo svolgimento, ma genitori e parenti non devono sostituirsi agli alunni, e neanche costituire una presenza indispensabile affinché i compiti vengano fatti. Si cresce anche così, dalle elementari in su. 
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