sabato 23 gennaio 2016
​La ricca esperienza di base della Chiesa a Firenze ha portato molte proposte concrete: dall’abitare la città all’impegno politico-sociale dei credenti
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A qualche settimana di distanza, non si è spenta l’eco del Convegno ecclesiale del 2015 e nelle varie realtà ecclesiali si moltiplicano le analisi e le riflessioni: sia dunque consentito inserire in questo dibattito la voce di uno dei partecipanti (quale invitato dalla Segreteria generale della Cei). Quello di Firenze è stato un convegno, per così dire, à double face: da una parte le prime due memorabili giornate iniziali – incentrate sul forte messaggio lanciato da papa Francesco alla Chiesa italiana e sulla relazione introduttiva di monsignor Nosiglia –; dall’altra le tre successive giornate, caratterizzate soprattutto dall’intensa attività dei 'tavoli di lavoro' – esperimentati per la prima volta nel ciclo di convegni ecclesiali che si è aperto nel 1976 a Roma – grazie ai quali si è consentito a tutti di prendere, e di riprendere, più volte, la parola, evitando il rischio di discussioni generali inevitabilmente selettive. A tutti, dunque, è stato consentito di far sentire la propria voce. Il problema dell’ascolto di quella che potrebbe essere chiamata la 'base' del convegno – i circa 2.200 delegati provenienti da tutta Italia – è stato tuttavia rappresentato proprio dall’estrema frammentarietà delle proposte. Nei 203 tavoli di lavoro ci si è confrontati e si sono formulate proposte, ma è mancata – e non poteva non mancare, data la ristrettezza dei tempi – un’analisi di tutte le diverse proposte (oltre duemila, se si considera che si era suggerito, a ciascun piccolo gruppo, di non superare il numero di dieci indicazioni ciascuno). Pressoché generale (ma non del tutto giustificato, dato il tempo ristrettissimo consentito a coloro che avrebbero dovuto provvedere a un immane lavoro di 'sintesi' nell’arco di poche ore) è stata la constatazione della distanza intercorrente fra questi tentativi di 'sintesi' e le proposte emerse nei vari gruppi. Un sintomo di questo disagio è rappresentato dal fatto che, in una prima messa in circolazione via email dei materiali del convegno, dei risultati del 203 'tavoli' non vi sia traccia.  Che fare, dunque? A partire dall’assunto che quanto è stato indicato e proposto dai 'tavoli' è una reale espressione del 'cattolicesimo di base', sembra opportuno che un apposito Gruppo di lavoro proceda, con la necessaria calma e con la pazienza dei tempi non brevi, ad analizzare tali conclusioni, per fare emergere le indicazioni più importanti e più condivise, così da inserire negli Atti, a suo tempo, un’analisi articolata, seppur sintetica, dell’insieme di indicazioni e di suggerimenti espressi in ordine al futuro della Chiesa italiana: al di là dell’inevitabile genericità delle parole-chiave del convegno (da Abitare a Trasfigurare), in realtà molte sono state le proposte concrete nelle varie sedi avanzate, e non poche le convergenze: sull’abitare la città, e cioè sull’impegno politico-sociale dei credenti, ad esempio - a quando risulta da una serie di incontri con i delegati - molte sono state le indicazioni e le proposte. È importante, dunque, che questi materiali vengano raccolti, riordinati, sintetizzati in forma più organica di quanto sia stato possibile fare – nell’estrema ristrettezza dei tempi – a conclusione del convegno di Firenze. È possibile che queste indicazioni della 'base' ecclesiale siano utili e fruttuose per gli stessi vescovi in vista di quel rinnovamento della Chiesa italiana fortemente auspicato da papa Francesco e che l’assemblea ha coralmente condiviso. Gli entusiasmi di quei giorni sono ormai alle nostre spalle; ma è ancora davanti a noi un insieme di proposte e di indicazioni rivolte a una Chiesa italiana che a Firenze ha dato una significativa prova di maturità. 
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